Enrico Ruggeri a Musicultura: «Cantautori? Una scelta coraggiosa»: tra live (3 settembre) e calcio benefico

Enrico Ruggeri a Musicultura: «Cantautori? Una scelta coraggiosa»: tra live (3 settembre) e calcio benefico
Enrico Ruggeri a Musicultura: «Cantautori? Una scelta coraggiosa»: tra live (3 settembre) e calcio benefico
di Totò Rizzo
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Giovedì 3 Settembre 2020, 08:35 - Ultimo aggiornamento: 09:08

In prima serata su Rai1 alle 21.25 nella «Partita del Cuore» della Nazionale Cantanti di cui è presidente e, in campo, “fantasista”. Poi in seconda serata, alle 23.40 su Rai2, come conduttore di «Musicultura», la rassegna marchigiana che da 31 anni scopre nuovi talenti della musica italiana d’autore, dallo Sferisterio di Macerata. «Avevo pensato anche ad uno spazio notturno da impegnare su Rai3…». Scherza, Enrico Ruggeri, sul doppio impegno televisivo di stasera.

Cominciamo dalla musica. Tenere a battesimo tanti giovani colleghi a «Musicultura». Come sta la canzone d’autore italiana dall’osservatorio di Macerata?
«Partiamo intanto da un presupposto. Fare il cantautore oggi è come andare a vendere frigoriferi in Alaska. Chi vuol essere subito al centro dell’attenzione, nel 2020, sfrutta i social, diventa un blogger, uno youtuber. Questa è dunque una scelta di campo, ammirevole, coraggiosa».

Ascoltando i finalisti di Macerata, qual è la differenza con la vostra generazione cantautorale?
«Più attenzione alla musica, più fusione tra i generi: pop, rock, rap c’è di tutto. Negli anni Settanta a fare da padroni erano i testi, poi siamo venuti noi, Mango, Zucchero, Vasco Rossi, Pino Daniele, Ruggeri e c’era già un equilibrio espressivo diverso, poi c’è stata la generazione dei Carboni, Silvestri, Cremonini… Poco alla volta, lo stesso valore alle parole e alle note».

A chi dice che i rapper sono i cantautori di oggi che risponde?
«Che in parte è vero ma bisogna distinguere tra i Frankie-hi-nrg o i Salmo e quelli che fanno solo i video con le belle donne, i tatuaggi, gli anelli, i soldi, quelli della serie “ce l’ho più lungo del tuo”».

Fabio Curto, l’artista calabrese che ha vinto l’edizione di «Musicultura» quest’anno, era arrivato primo anche a «The Voice of Italy» nel 2015. Che senso hanno allora i talent di cui lei è stato anche coach e giudice nel 2010 ad «X Factor»?
«Il talent di solito premia chi canta meglio. La storia della musica popolare italiana ci insegna che ancora oggi si ascoltano De Gregori, Battiato, Vasco Rossi… Cantavano forse meglio di tanti altri? Non credo. Forse però avevano più cose da dire. Io stesso, dopo una certa gavetta, sono uscito da Sanremo e non credo d’essere questo esempio di bel canto».

Alla selezione di «Musicultura» si sono presentati in 761, un esercito di ragazzi con l’urgenza di raccontare qualcosa in musica. Che vuol dire?
«Che, contrariamente a quello che qualcuno pensa, i giovani vivono con intensità questi tempi. Per non parlare di quest’anno disgraziatissimo, poi. Ci sono rabbie, dolori, frustrazioni, speranze che hanno esigenza di venir fuori. Certo, in un mondo governato dagli algoritmi di Spotify non è semplice».

Stasera lei sarà a Verona, presidente e “regista” in campo della Nazionale Cantanti che gioca la «Partita del Cuore». La prima volta in uno stadio vuoto.
«Sì e mi dispiace molto. La nostra è una tifoseria diversa da quelle delle squadre di calcio, fatta di appassionati di musica, di famiglie. Speravo passasse sotto le regole che governano l’affluenza contingentata ai concerti e invece è stata rubricata come evento sportivo».

Le donazioni saranno devolute ai lavoratori dello spettacolo il cui lavoro è stato messo a rischio, come tanti, dallo stop per il Covid-19.
«Era giusto così. Negli anni abbiamo sensibilizzato su tanti temi la gente che ci ha seguito: i donatori di midollo sono cresciuti anche grazie a noi, la Lega del Filo d’Oro ha trovato visibilità con le nostre iniziative. Quest’anno abbiamo pensato fosse giusto manifestare solidarietà alle migliaia di persone che lavorano nel nostro mondo. Io, quando faccio un concerto, arrivo in teatro per il sound-check qualche ora prima e poi la sera sono lì a prendermi gli applausi. Ma dietro quella serata ci sono decine di persone che piantano chiodi o avvitano bulloni».

Durante il lockdown ha scritto un libro e prodotto due dischi.
«Non sono stato con le mani in mano. Tra un po’ esce il mio nuovo romanzo, una saga familiare dagli anni ’30 del secolo scorso ad oggi, ambientata a Milano, ci sarà qualcosa di biografico anche perché quando scrivi racconti sempre qualcosa che conosci bene. Lo pubblica La Nave di Teseo. E poi ho prodotto l’esordio di Massimo Bigi, nuovo cantautore che però ha 62 anni, che aveva nel cassetto brani bellissimi, e un disco per pianoforte e voce di Silvio Capeccia, il tastierista dei Decibel, che ha riarrangiato alcuni brani storici della band».

Per chiudere, domanda di rito: se la chiamassero, tornerebbe in gara a Sanremo?
«Risposta di rito: se ho la canzone giusta, sì.

Non ne ho mai fatto una malattia per andarci a tutti i costi, a Sanremo, né me la sono mai presa quando non mi hanno telefonato. Ne ho già vinti due, di festival. Chissà…».

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