La vita bugiarda degli adulti su Netflix: «Con Elena Ferrante nei paradossi della realtà»

De Angelis firma la regia della nuova serie

La vita bugiarda degli adulti su Netflix: «Con Elena Ferrante nei paradossi della realtà»
di Titta Fiore
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 21 Dicembre 2022, 07:50

«Elena Ferrante definisce questa storia un groviglio arruffato, e un groviglio va raccontato nella sua complessità, senza l'ossessione di volerlo sbrogliare». Edoardo De Angelis è il regista della serie Netflix tratta dall'ultimo romanzo della scrittrice misteriosa, La vita bugiarda degli adulti, edito come sempre da e/o. Dopo il successo di «L'amica geniale» su Raiuno e su Hbo, un nuovo progetto «potente e ambizioso», come lo definisce Tinny Andreatta, vicepresidente per i contenuti italiani del colosso streaming, dal 4 gennaio disponibile sulla piattaforma in sei episodi prodotti da Fandango. Al centro della storia anche qui c'è un'adolescente, Giovanna (Giordana Marengo) e il racconto del suo percorso di crescita tra i due genitori borghesi (Alessandro Preziosi e Pina Turco) e una zia irriverente e scorretta (Valeria Golino).

E anche qui tra i personaggi più vivi c'è Napoli con la sua perenne ambiguità tra alto e basso, tra la città di sopra, che si è data una maschera fine, e la città di sotto, che si mostra smodata, triviale, ed è comunque irredimibile. Panorami mozzafiato e periferia degradata, Posillipo, il Vomero e Poggioreale, che la scrittrice chiama Pascone, e sullo sfondo gli anni Novanta, con i centri sociali, la musica dei 99 Posse, gli Almamegretta, i Massive Attack e la colonna sonora di Enzo Avitabile.

Dice De Angelis: «Le parole della Ferrante sono bellissime, poterle aprire e vedere cosa rivelano mi è sembrata un'occasione irripetibile».

Come si è avvicinato al libro?
«Adattare un romanzo per il cinema non è difficile, perché in ognuno di noi, leggendo, si generano delle immagini. Mi ha colpito il viaggio di questa ragazza verso il lato più oscuro e misterioso della sua famiglia, che poi è un viaggio dentro se stessa».

Un racconto di formazione.
«E di trasformazione. Negli anni Novanta l'Italia si trasformava profondamente e anche i personaggi lo fanno. Elena Ferrante gioca con il paradosso della realtà sistematicamente ribaltata. Nel rispecchiamento di un personaggio nell'altro, ognuno scopre che la verità è una parola che più apri, più rivela la sua natura bugiarda, che la sola verità possibile sta nella bellezza di una bugia piena di desiderio».

La Ferrante firma anche la sceneggiatura con lei, Francesco Piccolo e Laura Paolucci.
«Ha partecipato a tutte le fasi del lavoro, abbiamo avuto una relazione epistolare. Mi affascinava l'elemento letterario e mi divertiva che ci avessero messi insieme, come il diavolo e l'acqua santa».

Com'è andata?
«Grande dialettica, a tratti anche spigolosa, soprattutto nella prima fase. Alla fine mi ha mandato una lettera meravigliosa che per me vale più di ogni riconoscimento».

Su Napoli il racconto per contrasti è molto potente.
«Nel romanzo la città è un personaggio che scarnifica gli esseri umani che la vivono, cinematograficamente la possibilità di muoversi tra un quartiere in collina e uno a valle aiuta molto. Questo progetto ha coinciso con il mio desiderio di esplorarla sulle parole dei grandi autori, cominciato con Eduardo e proseguito ora con Elena Ferrante. Ho cercato di accompagnare la loro narrazione con il tono della mia voce».

L'idea che la serie sarà vista in contemporanea in gran parte del mondo che effetto le fa?
«Ci penso poco, mi piace immaginare il lavoro come il frutto di una conversazione a tavola, tra amici. La naturalezza è una qualità preziosa e va preservata».

In questa storia tutti mentono.
«Per fuggire da qualcosa o per autoaffermarsi, e non sempre sono deprecabili. C'è una scala di qualità anche nelle bugie. Se il desiderio resta puro qualche menzogna si può anche perdonare».

Cosa ha voluto sottolineare degli anni Novanta?
«Ho lavorato sui ricordi dell'adolescenza, sulle suggestioni musicali e i luoghi dell'impegno politico. In quegli anni la politica permeava la vita della gente, l'appartenenza partiva da ideali e paradigmi morali. Oggi molto di questo si è perso, ma se diamo ai giovani gli stimoli giusti può accadere di nuovo. È nostra la responsabilità. Vale anche per il mio lavoro di regista. Ogni storia che scelgo è un gesto politico».

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