Marco Morandi al Parioli di Roma: «Porto in scena Mia Martini, artista e donna: cantata da un uomo»

Marco Morandi e Claudia Campagnola in "Chiamatemi Mimì" (foto Valerio Faccini)
Marco Morandi e Claudia Campagnola in "Chiamatemi Mimì" (foto Valerio Faccini)
di Totò Rizzo
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Giovedì 20 Gennaio 2022, 18:37 - Ultimo aggiornamento: 21 Gennaio, 08:23

«Coraggio è la parola che mi sono più sentito ripetere a proposito di questa impresa», dice Marco Morandi. Perché è un’impresa ardita “Chiamatemi Mimì”, il monologo musicale di Paolo Logli diretto da Norma Martelli che, con Morandi jr. (figlio d’arte di Gianni e Laura Efrikian) e l’attrice Claudia Campagnola, arriva lunedì a Roma, al Teatro Parioli. Un omaggio a Mia Martini: la donna e l’artista.

Sembrerà forse strano che le canzoni di Mia Martini le canti un uomo.

«Ma sta qui la differenza. Quando Logli e Campagnola mi hanno chiamato per un consiglio – quale nome potevo suggerire loro per reinterpretare in scena le canzoni di Mimì – mi sono proposto subito: eccomi qui. Proprio per evitare, con quel modello inarrivabile, il confronto con un'altra voce femminile. Questi brani eseguiti da un uomo possono magari offrire una lettura diversa, un peso nuovo alle parole. Sempre restando fedeli al loro spirito. Per Mimì poi hanno scritto sempre uomini: da Califano a Fossati, da Lauzi a Baldan Bembo».

Qual è stato, nel pubblico, l’effetto di questo spostamento di sguardo?

«Qualcuno a fine spettacolo è venuto in camerino a dire: ho fatto più attenzione ai testi. Anche cantate, le parole vanno sempre protette. E nei testi, sia chiaro, non abbiamo toccato nessuna declinazione, è sempre tutto al femminile, non ci saremmo permessi, anche in questi tempi di “asterischi” finali. Sì, è vero, Califano cantò “Minuetto” al maschile ma lui era l’autore. Musicalmente poi è tutto molto limpido, semplice, chitarra o pianoforte e la mia voce, ho solo adattato qualche tonalità, spinto o decelerato laddove era necessario».

Che Mimì viene fuori dallo spettacolo?

«Non era certo necessario ribadire la grandezza indiscussa dell’artista però crediamo che dalle parti recitate da Claudia Campagnola – Mimì bambina, ragazzina, donna in un racconto in prima persona – venga fuori la sua anima, la sua sofferenza, la sua allegria anche, certe amare disillusioni come nel monologo in cui per paradosso accusa i poeti d’esser brutte persone perché ti spingono a innamorarti».

La sua playlist di Mia Martini.

«In testa “La nevicata del ’56” perché fa vibrare la mia anima romana e “Almeno tu nell’universo” che considero un capolavoro.

Quanto mi arrabbiai da ragazzino, avevo 15 anni, quando la presentò a Sanremo e arrivò soltanto nona. Mi scagliai contro il televisore».

Papà Gianni ha visto lo spettacolo?

«Sì, e si è commosso».

Che cosa ha in serbo per il futuro Marco Morandi musicista?

«Ho scritto un po’ di canzoni nuove durante questo stop causato dal virus. Ma anche per queste la dimensione del teatro è quella che mi affascina di più, che mi è più consona. E poi ho altri due spettacoli già rodati sulla falsariga di questo: “Chi mi manca sei tu”, un omaggio a Rino Gaetano, mia passione da sempre, e “Nel nome del padre. Storia di un figlio di…” che è autobiografico, mi prendo in giro, parlo della mia famiglia, delle canzoni in mezzo alle quali sono cresciuto».

A proposito di padre: di Morandi senior che torna nella mischia festivaliera che dice?

«Credo non abbia sorpreso nessuno, figuriamoci noi figli. È tenace, forte, entusiasta. Anche il recente incidente col fuoco – che pure lo ha molto provato tenendolo fermo come lui non sa mai stare – ce lo ha riconsegnato più combattivo che mai».

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