Proietti, Enrico Brignano: «Grazie a Gigi ci sentivamo i Saranno famosi del Gra»

Proietti, Enrico Brignano: «Grazie a Gigi ci sentivamo i Saranno famosi del Gra»
​Proietti, Enrico Brignano: «Grazie a Gigi ci sentivamo i Saranno famosi del Gra»
di Gloria Satta
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 4 Novembre 2020, 00:29

La voce a tratti si spezza, smorzandosi in un singhiozzo. «Sento un gran dolore dentro», sussurra Enrico Brignano. «Ma, proprio come mi insegnò Gigi al funerale del mio adorato papà, devo spostare il baricentro di questo dolore e trasformarlo in ringraziamento. Perché crescere accanto a Proietti è stato un privilegio». Così l’attore 54enne, romano di Dragona, racconta il ”suo” Gigi. Lui, l’allievo di maggiore successo, per 20 anni ”spalla” fedele del maestro, come lui di origini popolari e oggi, come lui, capace di far ridere e riempire i teatri con la sua sola presenza. «È grazie a Gigi se faccio quello che faccio», rivela. «Anche dopo 30 anni di palcoscenico ho continuato a cercare nei suoi occhi l’approvazione. Lo considero più che un maestro: è il mio secondo padre».
Quando è iniziato il suo rapporto con Proietti? 
«Nel 1988 venni ammesso al suo Laboratorio teatrale, ma lo seguivo già come fan. Quell’anno si erano presentati in 700 ed entrammo in 20, c’erano anche Flavio Insinna, Nadia Rinaldi, Gabriele Cirilli, Chiara Noschese. Ci sentivamo dei privilegiati, a Roma i ”ragazzi di Proietti” erano un’istituzione molto rispettata: nei teatri ci facevano entrare gratis. In tv furoreggiava la serie Saranno famosi, noi ci sentivamo i Saranno famosi del Raccordo Anulare». 
E Gigi era severo con le matricole? 
«All’inzio ci studiava non dico con diffidenza ma con molta attenzione. Non era proprio un sergente alla Full Metal Jacket, ma voleva capire chi si fosse messo in casa: detestava il pressappochismo e l’approccio superficiale al lavoro. Per lui, bisognava dedicare la vita al teatro con la massima abnegazione. Ho imparato così bene la lezione che sono diventato padre a 51 anni, solo dopo aver raggiunto il successo». 
Proietti era contento di lei?
«Mi stimava, e ancora la ringrazio. Quando si prese una pausa dal teatro per fare le fiction tv, io me ne andai per 7 mesi a New York dove campavo facendo il cameriere. Ma appena riprese gli spettacoli, Gigi mi richiamò. Capii però che aveva fiducia in me quando mi mandò a prendere i suoi genitori per portarli alla festa dei suoi 50 anni. Per lui avrei fatto qualunque cosa».
Avrà pure ricevuto una sfuriata da parte del maestro. 
«Facevamo al Sistina A me gli occhi bis e un pomeriggio arrivai in ritardo: Dragona è lontana da tutto, anche da Dragona. Gigi mi fulminò con gli occhi, io mi buttai in ginocchio chiedendo scusa e lui mi perdonò con un sorriso. Aveva garbo e anche nelle arrabbiature non perdeva mai le staffe. L’unica volta che l’ho visto furioso fu quando gli tolsero il Brancaccio (che vorrebbero ora intitolargli, ndr) per cui aveva fatto tanto». 
Che metodo insegnava a voi allievi? 
«Non era certo un tipo da metodo Stanislawskij, quello che prescrive l’immedesimazione totale. Per essere un gigante gli bastava concentrarsi 5 minuti prima dello spettacolo. Era intransigente semmai sulla necessità di prendere sul serio il nostro lavoro e me lo fece capire chiaramente». 
Quando? 
«Mi ero staccato da lui con dolore: andare per la mia strada abbandonando le certezze e i teatri sempre pieni fu faticoso come un parto, anche se necessario. Avevo già una discreta popolarità derivata dai miei primi lavori in tv, Il Medico in famiglia e La sai l’ultima? e andai a trovarlo mentre faceva le prove di Full Monty. Lui mi disse con la sua aria paterna e sorniona ”Devi fa’ er teatro, devi fa’ er teatro”. Da allora non ho mai saltato una stagione». 
Proietti veniva ai suoi spettacoli? 
«Il regalo più bello me lo fece venendo a vedermi nel Rugantino che facevo con Paola Tiziana Cruciani al Sistina. Mi avevano dato il camerino che era stato sempre suo: mi sentivo a disagio, volevo restituirgli almeno la sedia ma lui, con la massima naturalezza, si accese una sigaretta e mi regalò alcune ”dritte”, i segreti del mestiere che hanno arricchito il mio lavoro come il grasso sul prosciutto. E ancora mi accompagnano». 
Come si esprimeva la romanità di Proietti?
«In un atteggiamento conciliante lo portava a cercare di risolvere pacificamente ogni questione. ”Fa’ un po’ come te pare” era la sua tipica frase che sintetizzava questa filosofia. E per Roma Gigi ha fatto moltissimo: ha creato realtà che resistono alla barbarie, come il Globe Theatre». 
L’ultima volta che l’ha visto?
«Quando faceva il Kean proprio nel suo teatrino di legno a Villa Borghese. Si era imbiancato mentre la prima volta che lo vidi in quello spettacolo aveva i capelli neri. Ma era ancora più bello, il suo modo di stare in scena sembrava addirittura maturato. Mi sono commosso e ho capito il privilegio che ho avuto standogli accanto per 20 anni».
 

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