Bollani, virtuosismi sulle note del jazz

Bollani, virtuosismi sulle note del jazz
di Anita PRETI
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Venerdì 23 Luglio 2021, 05:00

Dovendo maneggiare un nome come quello di Stefano Bollani, in concerto stasera dalle 21.30 sulla Rotonda del Lungomare di Taranto, non si sa da dove e come cominciare: infatti è un musicista, un conduttore televisivo, un intrattenitore, uno scrittore. Ed è davvero tutto questo nel senso che ogni cosa è fatta a puntino, bene, e lascia il segno. Invitando Stefano Bollani, il direttore artistico di Taranto Jazz, Antonio Oliveti, chiude alla grande la seconda edizione della rassegna e può già pensare alla prossima perché il pubblico, sempre numeroso, ha dato il suo pieno assenso. 

Ma puntare su Bollani è anche felicemente facile perché non c‘è un solo nome italiano del jazz che abbia raggiunto una popolarità pari alla sua contribuendo ad abbattere quello steccato che ancora separa questa forma musicale dal grande pubblico. Gli è che un jazzista è la persona più libera che esista al mondo, proprio la sua musica è sinonimo di libertà, e reggere l’onere della libertà, la propria e l’altrui, è un impegno che piace a molti ma non a tutti. Stefano si avvicina al jazz quando è ancora un ragazzino. Studia pianoforte non a Milano sua città natale ma a Firenze sua città d’dozione (dopo il trasferimento di tutta la famiglia d’origine) e ad appena undici anni scrive a Renato Carosone esprimendogli un’ammirazione incondizionata. Non ci sarebbero i presupposti per farlo: Carosone spopola negli anni Cinquanta e Bollani nasce nel 1972. Ma indipendentemente dal fatto che “Torero”, “Tu vuò fa l’americano”, “Pigliate ‘na pastiglia” e tante altre canzoni sono già diventate indimenticabili, quello che colpisce il giovane aspirante musicista Bollani è la tecnica sviluppata dal maestro napoletano. Ed in breve la sfida su “Pianofortissimo” (iperbole della tastiera bianconera) potrà dirsi conclusa, a distanza, alla pari.

Tecnica mostruosa, velocità Ferrari (da Gran Premio), sono due delle caratteristiche riconosciute da tutti a Stefano Bollani. 

Chiaramente c’è dell’altro per aver poi conquistato un pubblico trasversale e multigenerazionale come ha fatto lui: per esempio nel retropalco della sua arte ci sono sapienza e passione agitate da una inesauribile curiosità. In queste ore sta curiosando nella partitura di “Jesus Christ superstar”, il pluridecorato musical di Tim Rice e Andrew Lloyd Webber, roba del 1971 (sempre prima anche se di poco della nascita del baldo pianista). L’archeologo musicale Bollani ne ha tratto elementi per costruire e portare nei più togati festival una performance per piano solo, una formula che del resto gli piace assai e che ha portato recentemente a Umbria jazz

A leggere di lui si pensa: ma dove non è stato in questi quasi trent’anni di carriera cominciata subito dopo il diploma al conservatorio “Cherubini” di Firenze nel 1993? E con chi non ha suonato? Da Barbieri, Corea, Galliano, McFerrin, Metheny, Veloso fino a Zubin Mehta giusto per stare lontano dai riferimenti italiani. 
Al suo mito ha dedicato un libro, “L’America di Renato Carosone” (Elle-U Multimedia) e altri ne ha scritti nel corso del tempo (“Parliamo di musica”, “Il monello, il guru, l’alchimista”, “La sindrome di Brontolo”) per dire come la pensa. Ma meglio lo dice dal piccolo schermo: “Sostiene Bollani” e il recentissimo “Via dei Matti n.0” (entrambi su RaiTre) sono un esempio di come, solo volendolo, si possa fare dell’ottima televisione. 

Stefano Bollani possiede la grazia della gioia. Ed è un bene che la distribuisca a tutti. A Napoli, la più luminosa delle città italiane, lo hanno capito e apprezzato e gli hanno conferito la cittadinanza onoraria.

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