Tutto parte da un tweet. E la saga Sanremo ieri ha avuto un’impennata di commenti e contraddizioni. A scriverlo il ministro della Cultura Dario Franceschini: «Il Teatro Ariston di Sanremo è un teatro come tutti gli altri e quindi, come ha chiarito ieri il ministro della Salute Roberto Speranza, il pubblico, pagante, gratuito o di figuranti, potrà tornare solo quando le norme lo consentiranno per tutti i teatri e cinema. Speriamo il prima possibile».
E da qui, la polemica. Anche perché l’Ariston è sì un teatro, ma per il Festival è trasformato in vero e proprio studio televisivo, con la platea smontata, scenografia mastodontica, spazio per il distanziamento dell’orchestra e galleria inutilizzata.
La presenza di figuranti contrattualizzati non era stata esclusa dal ministro Speranza, a differenza del post di Franceschini. A spalleggiare il ministro dei Beni culturali, Carlo Fontana, presidente dell’Agis (associazione generale dello spettacolo): «Se ogni attività di spettacolo è interdetta al pubblico sarebbe gravissimo accettare ogni tipo di espediente. La vera battaglia è quella di adottare soluzioni, che speriamo arrivino presto, per una celere e definitiva riapertura di tutti i cinema e teatri». A commentare, anche il presidente della Liguria Giovanni Toti: «Se il Paese si trovasse a marzo con una nuova ondata di casi - dice a RadioCapital - sarebbe un ossimoro pensare a Sanremo come gli altri anni». Prossima però la decisione: Festival sì, Festival no. Amadeus sì, Amadeus no.