Sabrina Salerno, oltre i 50 c'è di più: «Resto sexy ma più saggia. Sanremo? Se non sei brava non ti chiamano»

Sabrina Salerno, oltre i 50 c'è di più: «Resto sexy ma più saggia. Sanremo? Se non sei brava non ti chiamano»
di Marco Castoro
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Giovedì 30 Gennaio 2020, 08:29 - Ultimo aggiornamento: 13:00

«Siamo donne oltre le gambe c'è di più». Questo verso di una sua canzone molto popolare fa parte del Sabrina Salerno pensiero, una delle co-conduttrici che vedremo all’Ariston in due serate, mercoledì e sabato.
Sabrina, ma perché non si può più dire bella a una donna che scoppia il finimondo?
«Amadeus ha presentato tutte le donne come belle e a qualcuno ha dato fastidio. Una polemica inutile quella di enfatizzare la bellezza con la questione del passo indietro, frase che è stata fraintesa. Io ho un marito che da 30 anni, poveretto, sta al mio fianco e sa stare un passo indietro, come ci sto io quando è lui protagonista nel suo lavoro, ciò significa avere amore, protezione, supporto».

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Ma la miccia l’hanno accesa le donne…
«Un’esagerazione. Io so bene quanto Amadeus sia gentile e rispettoso nei confronti di tutti, per me è implicito dire che siamo tutte brave. Anche perché se non sei brava a Sanremo non ti chiamano».
Dov’era quando Amadeus l’ha chiamata?
«È stata una vera sorpresa. Pensi stavo dal dottore».
Bentornata in Italia e nella sua Sanremo…
«Ci ho abitato per 10 anni. È vero sono stata molto all’estero in questi anni. In Francia soprattutto. Dove torno subito dopo il Festival. Abbiamo già 40 date fissate e lo spettacolo ha già venduto 4 milioni di biglietti».
Si trova bene all’estero?
«Sì. In questo spettacolo solo l’unica non francese. Parlo 5 lingue. Quali? Lo spagnolo bene, l’inglese, il francese e ho studiato pure il russo».
Porta pure suo figlio in tournée?
«Assolutamente no. Ha 15 anni, frequenta il Liceo classico con le materie in lingua inglese, non può permettersi di perdere una settimana di scuola».
Come si trova nel ruolo della mamma?
«È il ruolo più impegnativo, quello più faticoso, ma è il dono più bello che mi è stato fatto. Dare una vita è qualcosa di magico. È una responsabilità affiancarlo, accompagnarlo, stare dieci passi lontano per controllare… con i tempi che viviamo».
Suo figlio la seguirà a Sanremo?
«Macché. Luca Maria ha 15 anni, frequenta il classico. Non ama il mondo dello spettacolo e non è attratto dallo star system. Gli ho detto devo partire per Sanremo, hai cose importanti a scuola questa settimana? E lui: “no tranquilla, non ho compiti in classe”. E allora puoi venire qualche giorno con me, vieni a trovare la nonna. E lui all’improvviso ha detto: “Non posso perdere greco, latino”. Figuriamoci se lo porto una settimana a Sanremo mi denuncia».
La musica la segue?
«Ascolta dal rap ai Beatles, anche la classifica, tutti i generi. Penso sia l’unico ragazzo che a 15 anni non ha mai fatto un selfie. Li detesta come detesta mettersi in mostra. I social li guarda ma non pubblica nulla».
Qual è la canzone del cuore di Sabrina?
«È sempre l’ultima perché è quella che ti rappresenta di più».
Quando rivede le vecchie esibizioni?
«Ho cominciato che avevo 17 anni, oggi ne ho 51. Una metamorfosi, è parte della mia vita: non rinnego niente, l’atteggiamento è sereno».
Da 50enni si ha una marcia in più…
«Hai una grande forza e la consapevolezza che non ti fa paura niente. Se prendi il lato bello del tuo vissuto per farne esperienza puoi solo diventare saggia e guardare oltre. Avere 50 anni è un valore aggiunto. Vivere le cose con un certo distacco, una sicurezza che non hai neanche a 40, questa è l’età perfetta».
Per chi tifa a Sanremo?
«Non mi sembra giusto tifare».
Che musica ascolta in macchina?
«Bowie, Billy Idol, il pop inglese».
Dei rapper cosa pensa?
«Il rap è durissimo, racconta l’insoddisfazione.

Si utilizza per denunciare situazioni ingiuste. Una forma di ribellione. Nasce dalle bande americane, una contro l’altra, una cultura che noi abbiamo da poco. Alcuni sono violenti e altri meno, ma secondo me il rap si può fare anche senza violenza. Prendo tutte le distanze dal linguaggio violento, ho insegnato a mio figlio il rispetto per se stesso e per tutti gli essere viventi, non voglio sentire neanche una parolaccia, figuriamoci una mancanza di rispetto verso qualcuno. Le parolacce e le bestemmie cominciano alle elementari, a prescindere dal ceto sociale a cui appartiene il bambino, senza nessuna distinzione. Ciò mi lascia sconvolta, in quarta e quinta elementare alcuni bestemmiano, una forma di inciviltà terrificante. In scuole sia pubbliche sia private, per moda o per farsi notare. Quando insulti motivazione è sempre l’insicurezza, attacchi proprio perché ti senti inferiore, così come i rapper violenti».

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