Ron: «Mio nonno era pugliese e io vorrei ritrovarne i parenti»

Ron: «Mio nonno era pugliese e io vorrei ritrovarne i parenti»
di Giorgia SALICANDRO
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Venerdì 3 Marzo 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 13:05

Chiudere un cerchio significa anche saper ricominciare, tornare al punto esatto in cui il movimento geometrico della storia ha avuto inizio. Ripercorrere il giro, segnarne i margini di nuovi colori. 
Celebrando i cinquant’anni della sua carriera artistica, Ron torna al suo pubblico con l’album “Sono un figlio” (Le foglie e il vento/Sony), che ora è anche un live tour che porta nei teatri il racconto delle origini familiari di Rosalino Cellamare. Prodotto da Trident Music, il tour partirà l’8 marzo da Senigallia e toccherà la Puglia con ben tre concerti: l’1 aprile al Teatro Apollo di Lecce, il 2 aprile al Teatro Fusco di Taranto e il 6 maggio al Tetro Radar di Monopoli. Sul palco con Ron Giuseppe Tassoni, Roberto Di Virgilio, Roberto Gallinelli, Matteo di Francesco e Stefania Tasca, mentre in apertura si alterneranno i giovani cantautori Giulio Wilson e Santoianni.

Un percorso a ritroso nel quale c’è anche la Puglia, da cui il nonno era emigrato alla volta del Nord. «E ora spero – confessa il cantante – di poter ritrovare i miei parenti rimasti a Trani».

“Sono un figlio”: un testo scritto da lei, un album, e ora un tour che omaggiano le origini “avventurose” della sua famiglia, il papà Savino rifugiato presso la casa della mamma Maria, e l’amore che nasce durante la guerra. Quasi un prologo della sua storia, nel momento in cui ne celebra il lungo percorso...

«È vero che bisogna guardare sempre avanti, ma è anche necessario rivolgerci indietro, soprattutto una volta passati gli anni in cui prendiamo e andiamo via di casa, in cui costruiamo il nostro lavoro e noi stessi.

Mia mamma se n’è andata circa un anno fa, e anche papà non c’è più: avevo bisogno di ricordarli, loro che sono stati davvero straordinari con me nonostante fossi molto giovane quanto ho iniziato a cantare. Durante la pandemia ho ritrovato un mio vecchio diario nel quale avevo appuntato la storia del loro incontro, che loro stessi mi hanno raccontato. Mi sono completamente assorto in queste memorie, e in questi mesi ho sentito nel profondo il senso della loro mancanza. Da ciò è nata la necessità di questa canzone».

Mi permetta di aprire il suo album dei ricordi privato: quali tracce troviamo della Puglia?

«Era mio nonno l’uomo pugliese di casa, che insieme a tanti altri suoi parenti salì al Nord per lavorare e cercare fortuna. A lui dobbiamo questo legame. Mio papà è andato in Puglia qualche volta, anche per il suo lavoro (commerciava olio d’oliva, ndr) io ci capito più spesso, come farò in questo tour. Ogni volta si avvicina qualcuno che dice di essere un mio parente, ma io non so se è proprio vero e allora gli faccio delle domande a trabocchetto… Ma se c’è ancora, davvero, qualcuno della mia famiglia, mi piacerebbe ritrovarlo». 

Lei è sempre stato molto discreto sulla sua vita privata. Parlano, per lei, i sentimenti e i mondi che attraversano le sue canzoni. Soprattutto oggi c’è chi, invece, tende a fare dell’esposizione della propria biografia una peculiare cifra d’artista. Che cosa ne pensa?

«Credo che ognuno debba raccontare ciò che sente. Per quanto mi riguarda, preferisco che si parli di me per ciò che faccio. Dentro tante mie canzoni, comunque, ci sono degli accenni importanti al mio passato, ma quali sono magari gli altri non lo sapranno mai».

Nel suo nuovo spettacolo canterà anche classici della sua musica, come “Piazza Grande”, scritta con Lucio Dalla. Il suo lavoro ha sempre coinciso con una fucina di artisti e amici...

«A unirci era un grande amore per il nostro lavoro, una passione incredibile, una grande stima reciproca e la condivisione degli stessi valori. È sempre andata così: ci si ritrova a discutere di un’idea, di una canzone, di una storia, si prende una chitarra… come con “Piazza Grande”, composta insieme a Lucio, Gianfranco Baldazzi e Sergio Bardotti. C’era sempre voglia di rimettersi a lavoro, magari dopo un concerto fatto la sera prima, e riportare le emozioni provate nelle mani di tutti noi. Questa è la musica, qualcosa di sacro, che non si sa spiegare, ma che quando arriva sei l’uomo più felice del mondo».

La musica risarcisce anche l’assenza?

«Certo. Quanto torno alle canzoni composte con Lucio, mi tornano in mente i vecchi momenti trascorsi insieme, quando io ero su una strofa, lui sull’altra, ci si incontrava, si poteva anche discutere, ma in un modo che ci ha sempre fatto capire meglio chi eravamo».

Quella fucina resta viva: porta con sé sul palco due giovani cantautori che hanno collaborato all’album: Giulio Wilson, che ha firmato con lei il brano “I gatti”, e Santoianni (“Questo vento”, “Fino a domani”). Che cosa “impara” dai giovani artisti?

«Il loro stupore. Quando racconti loro le cose che sto raccontando a lei, è bello sentirli appassionarsi, fare tante domande. Un altro incontro importante per questo album è stato quello con Leo Gassman: era venuto nel mio studio per registrare un pezzo del suo disco, mi ha fatto sentire qualcosa di suo, ci siamo messi a parlare, io dei miei incontri, lui della sua straordinaria famiglia, sono rimasto molto colpito da quel suo saper essere “adulto” pur avendo poco più di vent’anni. Così gli ho proposto di lavorare insieme a un pezzo, a una canzone che riguarda due generazioni, e ne è venuta fuori “Questo vento”. Ancora oggi, e a prescindere dall’età, capita di incontrare qualcuno che ti sembra di conoscere da sempre».

All’inizio del suo “secondo mezzo secolo” di carriera, ha un sogno nel cassetto?

«Un musical! Quando sono stato negli Stati Uniti ho avuto la fortuna di andare a vedere tutti i musical possibili, ricordo lo straordinario talento di quegli artisti, anche giovanissimi, che sapevano cantare e recitare perfettamente. È una disciplina che dovremmo insegnare bene anche ai nostri giovani».

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