Quel grido di dolore contro la violenza sulle donne

Quel grido di dolore contro la violenza sulle donne
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Venerdì 12 Aprile 2019, 11:37
È una valutazione azzardata, ovviamente - non avendolo conosciuto personalmente - ma a pensarci bene nemmeno troppo. E non è escluso che piaccia al Papa, a questo Papa, così moderno, anticonvenzionale, aperto tanto da parlare di sessualità come dono di Dio e di migranti da accogliere, contraddicendo con risoluta pacatezza la linea del governo italiano.
Gesù Cristo sono io, uscito nel 2017, non è un brano facile, modello sole-cuore- amore; non è una hit e neppure un prodotto da confezionare per Sanremo, con una data di scadenza sulla copertina, giusto un paio di mesi prima di finire nel dimenticatoio accanto ai mitici Jalisse. È, invece, un grido di denuncia, sofferto, chiaro. Soprattutto diretto.
Si ignora come sia nata la decisione della Curia né cosa abbia spinto la commisione vescovile a vietare il concerto in piazza Duomo, ma si fa strada prepotentemente la sensazione che il no sia frutto di un misunderstanding, o quantomeno di un esame frettoloso. È possibile che il giudizio si sia fermato al titolo o alla mera lettura delle parole, senza contestualizzarle, senza coglierne il senso profondo né i valori che affiorano tra quelle righe, il bisogno di aiuto, l'appello ad una maggiore sensibilità. Si può sentire senza ascoltare.
Non si sa quali siano i gusti musicali della commissione in Curia che ha esaminato il caso. Tuttavia si può ipotizzare, con ragionevole certezza, che siano abbastanza lontani dalle corde rock di questa siciliana trapiantata a Torino e rientrata in Italia dopo un passaggio in Inghilterra. In ogni caso si fa fatica ad immaginare i commissari mentre ascoltano Levante alla radio o ne fanno il download su iTunes. Ci avessero pensato, magari avrebbero cambiato opinione sulla presunta inopportunità di ospitare il concerto della cantautrice in piazza Duomo, dove invece hanno il permesso di esibirsi Fiorella Mannoia e Il Volo. E si sarebbe addirittura sorpresa, la commissione, di considerare quelle frasi, quel messaggio, non troppo lontani dal senso della missione terrena di Gesù, votata anzitutto alla difesa degli ultimi e degli oppressi, cerchia nella quale non si può non includere le vittime di abusi tanto abietti. Senza voler essere o apparire blasfema, Levante ha semplicemente cercato di legare in qualche modo la sofferenza di tutte le donne vittime di violenza con cotanto magistero, cogliendo il senso profondo - absit iniura verbis - del cristianesimo. E se oggi Cristo fosse qui, senza ombra di dubbio si immedesimerebbe in tanto dolore e sarebbe il primo difensore di tutte le mogli, le compagne, le fidanzate colpite dalla violenza bruta, rabbiosa e inaccettabile di uomini evidentemente posseduti dal male, dal demonio, tanto per restare nella raffigurazione iconografica tradizionale.
È titolo di merito anche solo aver pensato di trattare un tema così delicato e drammatico in una canzone e che Levante si sia esposta a difesa di donne senza la sua voce e la sua visibilità, spese come meglio non avrebbe potuto, al di là dei gusti musicali. La sua ballata rock ha una ritmica coinvolgente e, quel che più conta, una potente carica emotiva ed evocativa. Non lascia indifferenti. Verrebbe quasi di suggerirla a chi non l'abbia mai ascoltata, anche solo per scoprire che nessuno, nemmeno Gesù Cristo, potrebbe sentirsi offeso o turbato da un testo che al contrario richiama tutti a fare fronte comune contro uno dei delitti più sacrileghi, l'offesa al corpo e all'anima della donna.
E che la Curia ci ripensi o no, questo tempo, il nostro tempo, avverte un insopprimibile bisogno di artisti come Levante, che non sviliscono e non interpretano il genio come uno sterile esercizio accademico finalizzato a vendere una copia in più, ma lo consumano per lanciare segnali di umanità. Un po' quello che volle fare Gesù Cristo più di duemila anni fa.
Giovanni Camarda
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