“Pino”, trionfo del film di Fasano al Festival di Torino

“Pino”, trionfo del film di Fasano al Festival di Torino
di Carmelo CIPRIANI
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Domenica 29 Novembre 2020, 17:25 - Ultimo aggiornamento: 18:29

Sembra che la linea della vita sul palmo della mano di Pino Pascali fosse corta. Per questo ad Anna Paparatti, sua storica amica, disse morirò giovane. Una triste profezia, tragicamente avveratasi il 30 agosto 1968, quando Pascali scomparve a Roma a causa di un incidente stradale in motocicletta avvenuto nel sottopassaggio su Viale del Muro Torto.
A cinquant'anni esatti da quel tragico avvenimento la Fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare ha acquistato da Fabio Sargentini, gallerista e suo amico, l'opera Cinque Bachi da setola ed un bozzolo, esposta nel 1966 nella mostra Nuove Sculture alla Galleria L'Attico, all'epoca in Piazza di Spagna. Quella mostra non solo fu la prima organizzata in autonomia da Sargentini, succeduto nella gestione della galleria al padre Bruno, ma è anche il punto più alto di un sodalizio destinato ad interrompersi precocemente per la morte di Pascali. Bachi da setola è la seconda scultura di Pascali in Puglia dopo 9 mq di pozzanghere della Pinacoteca Metropolitana di Bari.
Sono trascorsi due anni dall'acquisizione dell'opera e oggi il film Pino, scritto e diretto da Walter Fasano, che ricorda l'evento, è stato premiato come Miglior Film alla sezione Italiana.doc della 38esima edizione del Torino Film Festival.
Secondo la giuria, il lavoro di Fasano ha avuto la la capacità di tradurre un lavoro su commissione in un'esplorazione creativa libera e personale. Coniugando il ritorno al luogo d'origine con il paradosso, l'anticonformismo, il gesto vulcanico di Pascali. Pino è una produzione Passo Uno per Regione Puglia, Fondazione Pino Pascali e Apulia Film Commission. Un'occasione quella della scrittura di un film utile a ripercorrere liricamente e non senza scientificità l'intera vicenda biografica pascaliana.
Il video racconta la vita di Pascali attraverso le voci di Suzanne Vega, Alma Jodorowsky, Monica Guerritore e Michele Riondino. Una narrazione cronologica non strettamente sequenziale, che si dipana per un'ora in tre lingue (italiano per le testimonianze documentarie e i sottotitoli, inglese per il racconto biografico, francese per i brani tratti dagli scritti o dalle interviste di Pascali), supportata dalle fotografie dello stesso Pascali, realizzate tra il '63 e il '68, ma anche di Ugo Mulas, Elisabetta Catalano, Claudio Abate, Marcello Colitti, e da brani tratti dai film di Giosetta Fioroni, Alfredo Leonardi e Luca Maria Patella. Nel tracciato filmico alle molte testimonianze d'epoca si alternano le riprese di Pino Musi che documentano la partenza dei Bachi da Roma e il loro arrivo in Puglia, con le fasi di imballaggio e di allestimento.
Nel video passato e presente s'incrociano continuamente, fino a confondersi nell'utilizzo unificatore del bianco e nero. Oltre che pittore e scultore, Pascali è stato animatore, grafico, pubblicitario, scenografo, attore e fotografo. Archetipi e miti mediterranei si fondano nel suo immaginario intrecciandosi a suggestioni contemporanee e dando origine ad una produzione ironica, spiazzante, talvolta irriverente. Irrequieto ma socievole, amava le motociclette e la pesca subacquea. Fin da bambino costruiva i suoi giocattoli a forma di armi, le stesse che poi nella maturità ha riprodotto in forme monumentali, esorcizzando così la tragedia della guerra (erano quelli gli anni dell'impegno americano in Vietnam). In tutte le sue opere emerge chiara la sua propensione alla trasformazione, una predisposizione che lo fece definire da Scialoja stregone. Trasformava tutto che gli capitava per le mani, quelle mani grosse, dure e sporche come le ha definite Eliseo Mattiacci. A partire dalla Biennale del 1964, quella con cui gli statunitensi impongono al mondo occidentale il loro modello culturale, capitalista e consumistico, rielabora in chiave personale i temi della Pop Art. Lui non ha nulla a che vedere con la Coca cola. Il suo mondo è nella terra, nel mare, nella zappa. Il suo sentire è più ancestrale. E proprio in quell'ancestralità Pascali rintraccia la via della sua modernità. L'11 gennaio 1965 inaugura la sua prima personale alla Galleria La Tartaruga di Plinio de Martiis. La mostra spazza via ogni provincialismo residuo e ogni avanzo informale. Brani anatomici e antichità romane sono trattati come oggetti di consumo, al tempo stesso immagini del presente e simulacri di un passato mai tramontato. Poco dopo nascono le armi. Il gioco si era fatto serio. Un vero e proprio arsenale montato - come ricorda nel film il collezionista Giorgio Franchetti - nel cortile dello studio di Via Boccea a Roma, tra galline e cianfrusaglie, in un palazzo di sette piani alla periferia di Roma. Con quelle armi allestisce, nel marzo 1966, la personale nella galleria torinese di Gian Enzo Sperone. Le immagini di apertura e di chiusura del film non potevano che essere quelle del mare, con cui Pascali ha sempre avuto un rapporto viscerale. Seguono all'inizio quelle del sottopassaggio romano. Inizio e fine sono indissolubilmente legati e indicano subito le coordinate di una parabola artistica funambolica, brevissima eppure incendiaria. Un fuoco che si è accenso e ha divampato senza sosta, questo è stato Pino Pascali. Lo è stato per la sua fama di ragazzo terribile, definizione che bene ne metteva in luce l'essere vulcanico, l'ironia, la propensione al gioco e allo scherzo e finanche la passione amorosa, ma anche per la sua straordinaria capacità inventiva, che gli ha consentito in meno di cinque anni di lasciare un segno profondo nell'arte contemporanea italiana e non solo. Seppur fulmineo l'effetto della sua arte è eterno. Nella sua breve vita ha tenuto nove personali, inclusa la sala alla 34° Biennale, premiata postuma, e quarantasette collettive, tra cui la storica mostra Arte Povera alla Galleria La Bertesca di Genova, atto di nascita del movimento teorizzato da Germano Celant. Il video si chiude con un interrogativo: dove avrebbe condotto Pascali la sua potenza immaginativa? Domanda volutamente ambigua da cui non si evince bene se era il primo a condurre la seconda o viceversa. Inutile chiederselo. Pascali era potenza immaginativa, era il suo mare, la sua terra, la sua ironia, ma soprattutto la sua inarrestabile fantasia.
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