Niente da ridere, c’è Peppe Barra

Niente da ridere, c’è Peppe Barra
di Anita PRETI
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Martedì 3 Agosto 2021, 05:00

Inizia oggi la piccola ma grande tournée di Peppe Barra nel Salento. Piccola perché sono solo tre le località toccate dal nuovo spettacolo “Non c’è niente da ridere”: questa sera a Ginosa (piazzale Padre Pio), domani a Taranto (villa Peripato), giovedì a Fasano (Minareto) secondo il calendario preparato dal Teatro pubblico pugliese che distribuisce un cartellone di “estive” a comuni aderenti e amici. Ed è insieme grande, questa tournée, perché riavvicina l’artista napoletano a quel mare di amici che ha visto crescere intorno a dismisura mentre toccava in tutti questi anni le coste del Salento (e il suo retroterra, si capisce). 

Il legame con Taranto

Quando sia cominciata questa storia d’amore diventa difficile dirlo con esattezza: Peppe è figlio d’arte e non si esclude che, al pari di tutti frugoli delle grandi dinastie, non sia finito in tenera età sui palcoscenici d’Italia. Certamente nella primavera del 1977, quando a Taranto la cultura teatrale era fatta dall’Italsider (sì in accordo, ma davvero solo marginale, con il Comune), arriva all’Orfeo “La Gatta Cenerentola” di Roberto De Simone, che ha debuttato pochi mesi prima al Festival di Spoleto. E il pubblico ammutolisce dinanzi a tanta bellezza, tanta potenza nella quale giocano un ruolo fondamentale la voce e la grinta di Peppe Barra nei panni della Matrigna.

Da quel momento in poi non è venuto meno a un appuntamento salentino portando al pubblico da “La cantata dei pastori” a “L’Opera buffa del Giovedì santo”, da “Peppe & Barra” a “Le follie del monsignore” fino agli spettacoli più recenti, isolando nel gruppo e nel ricordo degli spettatori autentici gioielli come “Senza mani e senza piedi” in Barra cui saliva in palcoscenico in “ditta” con sua madre.
Scomparsa agli inizi degli anni Novanta la formidabile Concetta Barra, grandissima attrice del teatro napoletano, involontario motore della scelta del figlio ma senz’altro chioccia della sua bravura, Peppe ha dovuto affrontare un dolore cocente, se non straziante, e la solitudine teatrale alla quale ha posto rimedio con nuova inventiva. Decine di rappresentazioni (la teatrografia di Barra è considerevole) e decine e decine di recital (venuti dopo quelli storici con La Nccp, Nuova Compagnia di canto popolare) che via via hanno consolidato lo straordinario rapporto di Peppe con il suo pubblico. 

Il nuovo spettacolo

Come il Grillo parlante del “Pinocchio” girato da Roberto Benigni, lancia adesso sul tavolo la sfida di un titolo “Non c’è niente da ridere” che solo pochi mesi fa, a teatri chiusi, sarebbe apparso come una provocatoria sferzata. Ma il lavoro, scritto a quattro mani, talora avviene, con l’amico Lamberto Lambertini, non ha intenti provocatori perché è solo l’appassionata descrizione della vita dei teatranti. E’ la foto di due di essi, Peppe e Lalla Esposito, intenti dal palcoscenico (mentre provano e recitano secondo schemi e modi ingiustamente ritenuti antichi) a guardare il loro dirimpettaio, il pubblico. 

Al posto di Barra, parla per una volta l’amico Lambertini e la dichiarazione di intenti merita è talmente bella che merita di essere riportata per intero: “Noi, Peppe e io, intendiamo provare a realizzare, ancora una volta, con il coraggio e lo spirito di allora, un teatro che sappia coniugare la risata con la commozione, il divertimento con la storia, la cultura alta con quella più bassa, il realismo con la follia, la raffinatezza con la volgarità.

Affinché non venga perduto quel filo, trovato tanti anni fa, che colleghi il cosiddetto teatro moderno con il cosiddetto teatro antico, trasformandolo in un teatro attualissimo, anche perché, oggi, maledettamente assente dalla scena”.

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