Giuliano: il tour dei record con i Negramaro, il mio canto per stravivere

Giuliano: il tour dei record con i Negramaro, il mio canto per stravivere
di Rosario TORNESELLO
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Domenica 29 Maggio 2016, 09:15 - Ultimo aggiornamento: 30 Maggio, 13:04

Pensi al boato. Ad un urlo, uno solo, somma di tutti, fragoroso e immenso. Un’esplosione, ma di gioia, perché la musica riesce come nient’altro in questo: colmare di note - e perciò di energia - anche il vuoto e la paura nei tempi miseri e minacciosi in cui talvolta, e non di rado, la storia inciampa, e noi con essa, come ora. Pensi a 13mila voci, tutti assieme lì a cantare, sbracciarsi, muoversi. Onde di questa “Rivoluzione” dei Negramaro che arriva e non passa, chiude il tour di primavera fra i trionfi autunnali e la ripartenza estiva, tocca Verona e inonda l’Arena. Dopo una giornata di nuvole come lenzuola. E di pioggia, prima del sereno al tramonto. Gocce. Ogni goccia importante. Pensi al boato, all’urlo. Di colpo, invece, è silenzio. L’omaggio inatteso del pubblico, il più intenso, quando Giuliano fende il palco, si avvicina al piano, si siede. Cappello in testa, fascio di luce, buio intorno. Lo sai; è evidente che è arrivato il momento. Lo sai da qui è il suo canto d’amore al padre, Gianfranco, volato via una mattina di gennaio, all’improvviso, tre anni fa. Il tempo si misura in brividi. E il silenzio è il patto, sorprendente e profondo, con la distesa di fans. Non era mai successo. Anche le emozioni evolvono. E stavolta basta una voce. Una sola. La sua. «Mio padre stasera, ne sono convinto, ha dileguato le nuvole. Grazie papà. Quest’Arena è per te. Sì». È sempre difficile restare con i piedi a terra e non morire.

Cosa resta di una serata così?
«Un’emozione incredibile. Siamo stati quattro volte all’Arena, dovremmo essere abituati. Eppure stavolta è stato diverso. Essere travolto dall’entusiasmo di migliaia di persone che con te e più di te cantano dall’inizio alla fine procura sensazioni indescrivibili. Ti entrano sottopelle, voce e anima. È talmente bello che neppure ci penso più. Non è vanto, è condivisione compiuta. Le canzoni a un certo punto non sono più tue. Ma all’Arena è successo qualcosa di magico».

Il silenzio.
«Mai accaduto prima. Voce e piano da soli sono l’introduzione a un momento intimo. Il pubblico ti accompagna sempre e ti rimanda un pieno di energia. Ma a Verona no, c’è stata come una pausa. Stranissimo. All’improvviso, su Lo sai da qui, solo la mia voce. Tutti zitti. Sentivo i miei respiri e i loro in una bolla d’aria, leggera e profonda, da sfiorare con le dita. Mi hanno offerto la possibilità di creare un ponte con quella persona».

 

Tuo padre.
«Ho scritto la canzone di getto, una mattina al risveglio. Non sono mie quelle parole, sono convinto me le abbia dettate lui. Un regalo per noi della famiglia. A me; a Luigi e Salvatore, i miei fratelli. A mia madre, Carmelina. Una canzone piovuta dal cielo. Insieme con Il posto dei santi mi ha trasmesso una forza impensabile prima. “Siamo sostanza che non può sparire” è frase impressa a fuoco sulla pelle di quanti hanno condiviso simili dolori. È per tutto quello che intorno a noi vive, anche quando temiamo che una volta scomparso dai nostri occhi non esista più. Nella vita non si deve sopravvivere ma stravivere. L’ho imparato da mio padre. Anche quando pensiamo di essere all’ultimo stadio».

Vivere non è abbastanza. Cantare neppure. Giuliano chiude a Verona e vola a Milano, all’Open Air Theatre di Expo, da Andrea Bocelli e Javier Zanetti per la serata di beneficenza dedicata ai bambini di Haiti («in tv mi hanno annunciato tra gli ospiti accanto a Pelè», sorride, lui che col calcio si diletta e però, come dire, gli acuti sono altrove...). La prossima settimana torna a casa per la colonna sonora dell’ultimo film di Giovanni Veronesi. Poi di nuovo all’Arena per i Wind Music Awards, ancora a Milano in piazza Duomo per il Radio Italia Live, subito dopo da Laura Pausini in una delle tappe negli stadi e infine in Sardegna con Paolo Fresu, Raffaele Casarano e Mirko Signorile. E il 15 luglio si ricomincia: la “Rivoluzione” riparte da Reggio Emilia, terzo segmento di un tour da record. Alla fine saranno oltre 50 tappe, l’ultima a Montecarlo, il 15 agosto. Fin qui 200mila spettatori (più i 200mila della notte di Capodanno al Circo Massimo). Riprendiamo fiato.

Dieci anni dalla consacrazione di Mentre tutto scorre. Cos’è cambiato?
«La cosa più bella è vedere come le canzoni diventano dei classici e vivono di vita propria. Sembrano brani che non ho neppure scritto io. Alla prima data di novembre tutti cantavano tutto. Anche Fino alla fine del secolo, la ghost track dell’ultimo album. Vorrei ringraziarli, per ogni presenza, per ogni sold out. Non sono parole vuote, sono un pieno di entusiasmo che devo a loro. Ormai da anni, a cavallo dei decenni, siamo la “band del momento” e la nostra musica è diventata grande col pubblico. Ognuno rivede la sua vita nelle nostre canzoni».

E voi?
«Noi? Noi sembriamo dei ragazzini. Quando si chiude il telo del palco sulle note de L’amore qui non passa io mi godo la mia band. Li guardo uno ad uno e vedo quanto siamo cresciuti. Andro, Pupillo, Ermanno, Data, Lele: non sono turnisti, sono straordinari musicisti che incarnano la storia di questo gruppo. È stupendo. Tappa dopo tappa uno scambio reciproco di amore e di energia, condiviso con gli altri. Il tour nei palazzetti nasce da qui: portare la musica in giro per l’Italia, quasi porta a porta, a casa dei fans. Soprattutto in un momento di crisi. La Rivoluzione è anche questo».

Stanco?
«No. È un'esperienza magica, l’ho detto: ricarica le batterie. Nelle varie camere d’albergo ho fatto allestire uno studio mobile, con annesso hashtag per i social (#roomservicesession e #roomservicesong), e nelle pause ho scritto e composto. Fin qui ho prodotto tanto. Per me e per gli altri».

Nuovi talenti?
«La musica buona arriva lavorandoci sopra, vivendola. Alle case discografiche e ai talent, così come alle radio e alle tivù, chiedo questo: maggiori possibilità ai giovani. Non è possibile racchiudere la speranza e la bravura in un provino di pochi secondi tra i migliaia di destini in attesa e in fila. Occorre ascoltare più proposte, offrire più opportunità. Io sono per la musica. E per i ragazzi».

Pausa. Tre minuti ancora, solo tre minuti. Note e parole volteggiano. Lente e inesorabili, attraversano il silenzio e si accavallano alle immagini, in questo giro d’Italia delle emozioni e dell’entusiasmo (occhi dentro occhi, mani dentro mani) a tappe lunghe per accorciare le distanze. Come battiti del cuore. Nuvole che passano e scaricano pioggia. Raccogliere i brividi e farne racconto non è semplice. La sintesi a volte dimentica gli angoli di bocca. Giuliano ci prova nella luce di un mattino. Senza neppure trattenere il fiato prima di parlare. Poi ti inonda di emozioni e posta video, invia foto. Quasi fossimo in bilico, in precario equilibrio, tra santi e falsi dei. Come se la sua voce da sola non bastasse, all’ombra dei ricordi. Alla fine non manca nulla: il tempo regala sorrisi. Meraviglioso. Anche quando pensi che sian troppe le paure.

Ecco, le paure.
«La morte, un tabù. Ed è strano, perché appartiene a tutti. Così non ne parliamo; se proprio, lo facciamo con tristezza. Parlare, invece, aiuta se stessi e gli altri. Io ho fatto così: non ho nascosto nulla. E le canzoni mi hanno salvato. L’attaccamento alle passioni, alla famiglia, ai valori ti permette di vivere la morte come una parte della tua stessa vita. Se lo dici in musica, ci sono milioni di persone che rispondono e ti ascoltano. Avevo una paura terribile della morte prima che cogliesse mio padre. Ero convinto che non avrei più respirato».

Poi?
«Per settimane non ho aperto bocca. Ora per chi canto, mi chiedevo. Chi farà da nonno al bimbo che avrò? Poi il 4 marzo mi invitano a Bologna per un omaggio a Lucio Dalla. Che strano: nei miei ricordi di bambino Dalla e mio padre si sovrappongono, con quelle canzoni in auto nei lunghi viaggi per la Sicilia. E lì il dolore si scioglie in un pianto irrefrenabile: abbraccio i miei fratelli e salgo sul palco. La “Rivoluzione” nasce così: da qui provengono Il posto dei santi, scritta in aereo da Roma a Brindisi, e via via le altre. È questo il ponte con mio padre».

Resta l’assenza.
«Non deve spaventare. Lui sei tu e tu sei lui: non puoi mancare a te stesso. Mai. Lo dico a tutti: non abbiate paura se le persone care a volte non vi mancano. Siamo della stessa sostanza che non può sparire, è vero. Sono le radici che ti porti dentro: stanno lì, non vanno ostentate. Come la tua famiglia: è in te. È come musica. Condivisione. Un modo speciale di vivere la vita. Vedi mia madre, che sembra una bambina di 14 anni, come canto in Apollo 11. Lei ha scritto una poesia bellissima dopo il concerto all’Arena. E in quei versi ho ritrovato le mie stesse emozioni».

Battiti all’unisono, col ritmo incalzante.
E poi d’incanto il silenzio. Scala di velluto per note celesti. In cerca del pentagramma degli Angeli. È questa la poesia... Com’è speciale il mondo, anche se fa male.

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