Linus di Radio Deejay: «Ho scritto un libro per dirvi non invidiatemi, sono come voi»

Linus di Radio Deejay: «Ho scritto un libro per dirvi non invidiatemi, sono come voi». Il Titolo? "Fino a quando"
Linus di Radio Deejay: «Ho scritto un libro per dirvi non invidiatemi, sono come voi». Il Titolo? "Fino a quando"
di Paolo Travisi
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Martedì 19 Maggio 2020, 08:05 - Ultimo aggiornamento: 08:08
Fino a quando. E’ la frase che ha assillato Linus, sin dalla gavetta nelle radio milanesi fine anni ’70. E tempo dopo, anche quando è diventato il direttore di Radio Deejay, il quesito è rimasto nei pensieri come fosse un jingle. L’unico modo per allontanarlo, è stato immaginare il giorno d’addio, come ha scritto nel libro Fino a quando, un lungo racconto tra ricordi ed emozioni.

Ha cercato d'immaginare come sarà il giorno in cui realmente dirà basta?
«E’ una cosa che non vedo lontana, forse 3 o 5 anni, devo iniziare a prepararmi mentalmente. Mi divertiva l’idea di giocarci un po’ come fanno i bambini che giocano al funerale e dicono chi verrà a salutarmi? E’ anche un modo per attirare affetto ed attenzione, in modo infantile».

Ma perché questa frase è stata la sua ossessione?
«Perché il mestiere dell’artista è precario. A noi che facevamo radio alla fine dei '70, ci sembrava una cosa piovuta dal cielo, e ci chiedevamo fino a quando avremmo avuto questa fortuna. E poi c’è il discorso della credibilità: nella mia testa la radio aveva una valenza giovanile, mi dicevo non è che uno con i capelli bianchi, può mettere i dischi. Invece eccomi qui».

Per chi fa il suo lavoro deve esserci per forza un addio?
«Non è obbligatorio smettere, m’ispiro al mondo dello sport, l’altra mia grande passione, e lì c’è questo momento formale e definitivo, forse mi sono fatto influenzare».

Nel libro si percepisce una sensazione di felicità non piena, come se ci fosse altro da raggiungere.
«Nessuno potrà mai essere del tutto felice. Guardi la truffa di Instagram, di cui siamo vittime; vediamo la vita degli altri e ci sembra più bella della nostra. Io per radio racconto i fatti miei, per far in modo che la gente possa identificarsi, ma è il me stesso allegro e positivo. Anch'io ho avuto momenti difficili, nessuno è intoccabile, ma nel libro ho voluto dire “non invidiatemi se vi sembro fortunato, perché sono come voi”. E poi essere felice sarebbe noioso come quelli che vivono al sole in California (ride ndr)».

Ha scalato i vertici della radio, eppure nel libro descrive quel senso di colpa del successo, come eredità di chi si è fatto dal nulla.
«Ho pudore di quello che ho, mi torna sempre in mente da dove sono partito e a volte se mi sembra di ostentare la fortuna, non voglio mancare di rispetto agli altri. E’ un ragionamento anche stupido, perché invece potrebbe essere anche uno stimolo, ma preferisco lasciare quella bella macchina in garage e prendere la solita».

Come si trova l'equilibrio tra la brutta musica che si deve passare e la buona musica?
«Sentiamo il dovere di farlo per differenziarci dalle altre radio, mettendo della musica più moderna e propositiva. Tra gli anni Ottanta e Duemila era più facile, assomigliavamo ai dischi che suonavamo, oggi noi e il pubblico siamo più grandi, mentre la musica è sempre più adolescenziale, la più condivisibile è Billie Eilish, ma ha 18 anni. Dobbiamo mantenere quelle radici, affiancarle a qualcosa che ci assomiglia, ma il mix è più difficile in questi ultimi anni».

Radio Deejay durante il lockdown non si è fermata. Si avvertiva la difficoltà, ma ha scelto di non sospendere. Dove ha trovato la motivazione?
«Il primo mese quando la gente era spaventata, per assurdo era il periodo più bello per noi, perché c’era grande scambio di emotività tra noi e chi stava in casa, c'erano motivazione e commozione. Non ci siamo mai fermati, ma oggi sento la stanchezza».

Immagino avrà i numeri di tanti big della musica. Chi chiamerebbe per una birra?
«Il primo è Lorenzo, con lui posso parlare di tutto, anche di bicicletta, da quando è tornato in Cile ci siamo sentiti spesso. La sua avventura per me sarebbe un sogno impossibile. E poi Vasco, lo conosco dall’album Colpa di Alfredo, è una persona curiosa, diversa da quella sul palco, anche molto tenera perché avrebbe voglia, come nel mio caso, di far emergere una parte che la gente non conosce».

Se oggi dovesse incoronare il suo successore, a chi andrebbe lo scettro?
«A qualcuno che sta cominciando adesso. Non smetto finché non l’ho trovato, e siccome non ne vedo molti all’orizzonte mi sa che andrò avanti per molto. C’è poca gente che fa la radio negli ultimi anni, una grande tristezza».

Quando lascerà sul serio, che farà?
«Io che sono sempre organizzato, non ho fatto progetti a lunga scadenza, ma credo che sarà l’evoluzione di quello che sto facendo. Chissà se mi mancherà la quotidianità, per me è una disciplina essere in radio, la mia vita funziona così».










 
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