Il jazzista Enrico Rava rivela l'incredibile incontro con Miles Davis nel 1969

Il jazzista Enrico Rava ricorda il suo album del 1969 «Gasmak Their First Album»
Il jazzista Enrico Rava ricorda il suo album del 1969 «Gasmak Their First Album»
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Domenica 21 Marzo 2021, 17:30 - Ultimo aggiornamento: 22:40

Un ricordo che riporta la mente alla fine degli anni Sessanta. Un incontro straordinario nella culla del jazz mondiale, negli Stati Uniti. Il racconto porta la firma di Enrico Rava, uno dei più grandi trombettisti italiani. Un rivelazione a oltre cinquant'anni di distanza, mentre lui pubblicava e promuoveva “Gasmask Their First Album”, primo album del gruppo di cui faceva parte: i Gasmask. All'improvviso di fronte a lui appare il "Prince of Darkness" della musica mondiale: Miles Davis

«Finalmente è uscito il disco - racconta Rava in un lungo post su Facebook intitolato "Quella volta che Miles" - S’intitola “Gasmask Their First Album”. Gasmask è il nome del gruppo di jazz rock di cui faccio parte. La musica un po’ sull’onda di Blood Sweat and Tears, Chicago ecc, ecc. Il nostro produttore è Teo Macero, che ha al suo attivo gli ultimi dischi di Miles Davis tra cui il recentissimo Bitches Brew. Stasera presenteremo il disco con un concerto da Ungano’s, tempio del jazz rock dove suonano abitualmente Lifetime di Tony Williams, Grateful Dead, Cream ecc, ecc.
Un sacco di gente fa la coda per entrare al 210 della settantesima strada, fa un caldo tremendo. Piena estate del 1970». 


«Io sto fuori appoggiato a una cabina telefonica (che bello quando c’erano ancora) fumandomi la mia ennesima Pall Mall senza filtro, con la valigetta della mia Bach 37 per terra - scrive Enrico Rava - A un certo punto vedo un nero super hip, statura medio bassa, un magnifico afro, pantaloni scamosciati zampa d’elefante ma non troppo, giacca di pelle con frange, cinturone chiodato e occhiali neri immensi che coprono mezza faccia. Oddio, mi sembra lui. No, non è possibile, eppure sì, è proprio lui, il divino Miles, Prince of Darkness. Viene direttamente verso di me, si ferma a dieci centimetri, aiutooo, indica la valigetta della tromba e mi bisbiglia all’orecchio con quella sua voce rauca che abbiamo ascoltato mille volte sui suoi dischi: “Are you playing tonight?”. Cerco di sembrare cool e gli faccio “Yeah”. “I’m going to check you out “ - vengo a controllarti, mi fa lui, e si dirige verso la porta del locale. Si apre un varco fra la folla, come le acque del Mar Rosso di fronte a Mosè, lui sparisce nel buio di Ungano’s e il varco si richiude.

Mi fiondo nella cabina e chiamo disperatamente casa».

«In quei giorni - prosegue Rava - abitavamo di nuovo insieme Gato Barbieri, Michelle e mia moglie Graciela, in Claremont Avenue, a 100 metri dall’incrocio fra Broadway e la centoventicinquesima strada “ S.O.S.! Venite subito e portatemi del Valium!” Venti minuti dopo, un taxi inchioda a un passo da me e i tre schizzano fuori acchittati per le grandi occasioni ma soprattutto con le pillole agognate. Controllo il bugiardino. Qual è la dose per stati di panico tipo terremoti, naufragi, incendi, bombardamenti… In realtà, Teo Macero mi aveva detto di aver invitato Miles ma ci credevo poco. Mezz’ora dopo sono sul palco. Miles e Teo in prima fila, ma io sono rilasatissimo e suono bene, anzi suono meglio del solito».


«Dopo la performance applausi, urletti e tutto il resto - spiega nel dettaglio il jazzista - Scendo dal palco e Miles mi viene incontro sorridendo, mi sferra un pugno amichevole sula braccio sinistro, mi prende sottobraccio e mi porta a chiacchierare in un angolo, mentre tutti ci guardano come stesse accadendo un fatto miracoloso. Io completamente a mio agio (grazie Valium!). Mi chiede da dove vengo, dove abito, che progetti ho. Mi dice di essere un grande fan della cucina italiana e di essere un ottimo cuoco, anzi di essere uno specialista della pasta. Gli racconto che suono la tromba per causa sua e che ho praticamente tutti i suoi dischi. E adesso viene il bello: mi dice “I’m looking for a tenor player” e io “ What about Gato Barbieri?” e lui “L’ho sentito con Don Cherry al Vanguard. Sounds good!”. Te lo vado a chiamare, è qui nel locale, e parto alla ricerca del mio amico. Quando gli dico che Miles gli vuole parlare, sprofonda nella paranoia più nera. ”No, non me la sento, non sto bene, non parlo inglese, lasciatemi stare” e Michelle “Ma Gatito, sarebbe magnifico, dai”, ” No no, lasciatemi stare, non posso”. Insomma, niente da fare. Era un periodo in cui viveva nel terrore di qualunque cosa. Torno da Miles “ Gato è in paranoia, non se la sente, cosa ne dici di andare noi da lui ?”. “I’m the boss. È lui che deve venire da me.” E la cosa finisce lì. Che peccato! Avrebbe potuto essere un abbinamento strepitoso. Un treno perso. Vabbé, ne avrebbe presi altri di treni Gato, ma questo era un treno speciale. E Miles non l’ho mai più incontrato».

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