Giovanni Truppi a Sanremo: «Guardo il Festival fin da bambino. Spero di conoscere Massimo Ranieri»

Giovanni Truppi - foto di Mattia Zoppellaro
Giovanni Truppi - foto di Mattia Zoppellaro
di Rita Vecchio
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Sabato 22 Gennaio 2022, 16:04 - Ultimo aggiornamento: 16:39

Cresciuto a pane e Lucio Dalla, che ha conosciuto da bambino, Giovanni Truppi è tra i protagonisti in gara al Festival ter di Amdeus (1- 5 febbraio 2022, in diretta su Rai1). Uno degli outsider, per usare un termine tanto di moda soprattutto quando si parla di Sanremo. Basti leggere il titolo del brano, “Tuo padre, mia madre, Lucia” per avere un’idea del mondo fatto di immagini, personaggi, metafore di Giovanni Truppi. Un brano lavorato con due autori importanti della scena autorale italiana, Gino De Crescenzo “Pacifico” e Niccolò Contessa (I Cani), insieme a Giovanni Pallotti e Marco Buccelli che lo produce con Taketo Gohara. Gli archi sono di Stefano Nanni che lo dirigerà all’Ariston.

«Un brano scritto a sessioni separate a distanza», racconta lui stesso. «Causa la solitudine cui siamo stati costretti negli ultimi tempi, è un brano nato dal desiderio di collaborare con altri, cosa che non mi era mai successa prima».

Il tema è «il sentimento d’amore per la persona amata, l’ineluttabilità del percepirsi amore di una coppia che sta costruendo una vita insieme e che si confronta con il mondo esterno: un suocero, una suocera e Lucia, mia figlia».


Per la serata delle cover, dove porterà il suo "pianoforte tagliato", come da suo tweet è “Nella mia ora di libertà”, «da “Storia di un impiegato” di Fabrizio De André. È un grande onore (oltre che un conforto!) avere come compagno in questa impresa spericolata, Vinicio Capossela, uno degli artisti che mi ha più guidato da quando ho iniziato a fare questo lavoro». Artista indipendente, approccio jazz, “Poesia e civiltà”, uscito nel 2019, è citato tra i migliori dischi dell’anno anche dal quotidiano francese “Le Monde”. Napoli - dove nasce nel 1981 e cresce - nel cuore e nella testa, tanto da fargli dire senza riserbo che si sente «in debito per lo sguardo che questa città ti regala sul mondo».

Legato «al napoletan power nel raccontare una storia antica, alla musica, al modo di scrivere». I suoi maestri sono Fabrizio De Andrè, Pino Daniele, Roberto Murolo, e ancor prima Edoardo Bennato. Dieci anni di carriera e quattro dischi «che andavano raccontati» e che dal 4 febbraio saranno riassunti in “Tutto l’universo”, l’antologia ritratto di questo artista di cui sentiremo parlare a Sanremo. «Il Festival? Lo vedo da quando andavo alle medie, e negli ultimi anni sempre più per goliardia. Sono legato a “Perdere l’amore” (infatti spero di conoscere Massimo Ranieri). Dei miei ricordi? L’atterraggio dei Quintorigo con Rospo (1999). Questo è stato Sanremo per me, fino ad oggi».

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