«Non pensavo che la fine sarebbe arrivata così presto, in queste malattie la mente ti abbandona ma spesso il corpo ti tiene in vita per tanti anni ancora. Certo, il destino è stato crudele con Franco, l’ha colpito in quello che era il suo più grande patrimonio, quell’intelletto che ci ha lasciato un’eredità enorme». Mario Venuti è affranto per la morte di Battiato.
Il vostro primo incontro.
«Alla fine degli anni ’80 quando tornò a vivere in Sicilia. “Vi vuole conoscere” fece sapere a noi Denovo.
Come fu come produttore?
«Il migliore che un artista possa augurarsi. Attento, disponibile, dava consigli ma soprattutto sapeva ascoltare, mai invasivo. L’ultima scelta spettava sempre a noi. Tanto è vero che questo è l’album in cui i Denovo escono fuori al meglio. Si portò dietro Giusto Pio, che vigilava su tutte le armonie, e Filippo Destrieri, mago dell’elettronica».
Il Battiato amico.
«A dispetto dell’immagine ieratica che gli era stata attribuita, di questa spiritualità, di questa essenza quasi eterea, Franco aveva un grande senso dell’humor ed aveva una componente terragna, fisica come tutti i siciliani, gli piaceva moltissimo parlare in dialetto. Ricordo una delle ultime serate a Milo con un gruppo di colleghi ed amici: era felice come un bambino».
Altre collaborazioni artistiche?
«Noi Denovo facemmo i cori de “L’ombrello e la macchina da cucire”, ricordo che li registrammo nella sua camera da letto. Poi ci fu l’esperienza de “I persiani” di Eschilo con la regia di Mario Martone nel 1989 al teatro greco di Siracusa, lui musicò gli stasimi che io cantavo con il Coro. Poi mi ha regalato la sua voce in “Spleen #132”, nel mio album ”Recidivo”».
Cosa lascia Battiato alla musica, o meglio, alla cultura italiana?
«È stato un ciclone, è riuscito a coniugare cultura bassa e alta come nessun altro, decontestualizzando l’una e l’altra, sia con profondità di pensiero filosofico che con grande ironia, a smarcarsi da quell’occidente un po’asservito al pop-rock anglosassone e a trovare un suo respiro europeo. Insomma, ce n’è abbastanza per poter dichiarare che dopo Battiato niente è stato più come prima».
L’ultima volta che lo ha visto?
«In concerto con Alice, in teatro a Catania. Ero in prima fila. Alla fine mi fece cercare perché voleva salutarmi. Tante volte poi, anche di recente, Luca Madonia mi ha detto: “Dai, saliamo a Milo da Franco”. Non ho voluto, non me la sono sentita».
La canzone più bella di Battiato?
«”Secondo imbrunire”. Le canzoni hanno sempre idealizzato l’amore. Chi meglio di Franco poteva esprimere non solo lo struggimento ma anche il disincanto, il cinismo delle relazioni sentimentali? Ci vuole coraggio per scrivere “nel secondo imbrunire / il cuore quando si fa sera muore d'amore / non si vuol convincere / che è bello vivere da soli”. Sì, coraggio».