“Lo chiamavano Trinità”, 50 anni del film culto con Bud Spencer e Terence Hill: «Sul set era come stare in vacanza»

Lo chiamavano Trinità, 50 anni del film culto: «Contro ogni cliché». Bud e Terence nei ricordi del giovane aiuto regista
Lo chiamavano Trinità, 50 anni del film culto: «Contro ogni cliché». Bud e Terence nei ricordi del giovane aiuto regista
di Valentina Conti
3 Minuti di Lettura
Giovedì 24 Dicembre 2020, 01:30 - Ultimo aggiornamento: 18:53

Mezzo secolo esatto l’ha compiuto il 22 dicembre 2020. Sono passati 50 anni dall’uscita di uno dei cult movie più famosi di tutti i tempi: “Lo chiamavano Trinità”, il celebre film con Bud Spencer e Terence Hill diretto da E.B. Clucher, nome d’arte del romanissimo Enzo Barboni, del quartiere San Giovanni. 

 


Il figlio del regista, Marco Tullio Barboni, ha proseguito la carriera familiare: «Ho un ricordo molto nitido di quel set - racconta - avevo 18 anni ed era il mio primo contratto ufficiale: ero secondo aiuto con delega al ciak, imparavo il mestiere.

Mi torna in mente l’atmosfera entusiasta, un mix di sensazioni che non mi è mai più capitato ritrovare. Tutti hanno collaborato a quello che era un evento e un rischio insieme. Mio padre incontrò notevoli difficoltà nel realizzare il film con quei connotati: era andare contro tutti i cliché, il ribaltamento del western di allora. Una scommessa».

Qualche aneddoto?
«Tantissime battute diventate famose sono nate sul set. Non dimentico che la troupe la domenica portava i figli dove si era girato in settimana: in una zona del campo dei mormoni, sulla Roma-L’Aquila. Invece di fuggire come si era soliti fare spesso dal posto dove si lavorava. Un luogo straordinario, ci sono tornato di recente e conserva intatta la sua bellezza».

Una rivoluzione dei cliché anche in questo senso.
«Esattamente: vento, polvere, fango: il western prima era questo. Al contrario, in quella che fu la creatura di mio padre - un orgoglio - c’era sole, paesaggio. E la cosa fantastica è stato il fatto che il film è stato accettato e apprezzato dal pubblico di tutta Europa. Un successo continentale e non solo incredibile». 

Secondo lei perché?
«Era quello che il pubblico si aspettava, ma non come se lo aspettava. Gli anni ‘70 non sono stati facili. Il film proponeva grandi risate e gag visive, era un film di grande sorpresa. Le espressioni di Bud, la leggerezza di Terence: la chiave è stata il linguaggio universale usato».


Lei è regista, sceneggiatore, da poco anche scrittore. C’è molto di suo padre in quello che fa?
«Mi piace rendere fruibili cose difficili quando scrivo. Il mio ultimo libro parla della parte bambina dentro di noi: in esso c’è molto di mio padre, è dedicato a lui e a Bud, al loro approccio alla vita: loro avevano del bambino le cose migliori. Mia figlia ha 31 anni ed è regista, amava visceralmente il nonno. Lui sicuramente la guiderà a dovere».
riproduzione riservata ®

© RIPRODUZIONE RISERVATA