Il Libro/La lettera a Bearzot di Pastorin: "Caro Enzo ti scrivo..."

Il Libro/La lettera a Bearzot di Pastorin: "Caro Enzo ti scrivo..."
di Salvatore PICONESE
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Martedì 12 Luglio 2022, 07:03

«Sono passati quarant’anni, Vecio. Ma l’emozione, di chi ha vissuto quei momenti in Spagna o davanti alla tv, non è mai davvero finita. In molti ricordano, perfettamente, dove erano e con chi durante il macht con il Brasile o la notte della finale al Santiago Bernabeu. Quella vittoria è diventata una favola da ricordare, da raccontare ai figli e ai nipoti, partendo proprio da te: dal condottiero che non si è mai fermato davanti a niente e a nessuno, all’allenatore che ha tirato avanti per la propria strada convinto della bontà delle proprie scelte, dell’orgoglio dei propri calciatori. Sì, la storia siete stati voi». 
Inizia con queste parole l’ultimo capitolo del libro “Lettera a Bearzot” (Compagnia Editoriale Aliberti), scritto del giornalista Darwin Pastorin, quasi come se l’autore volesse incidere per sempre nella memoria del lettore l’idea che il Vecio, più di chiunque altro, sia stato l’artefice numero uno del trionfo mondiale, nel 1982, in Spagna.

La lettera al grande “vecio”


Quarant’anni dopo l’indimenticabile notte del Bernabeu, Pastorin scrive a Enzo Bearzot una lettera “a cuore aperto”, che diventa un vero e proprio viaggio a ritroso nella storia, dalla metà del Novecento fino ai nostri giorni: i quartieri poveri di San Paolo del Brasile, le strade della Torino “operaia” della contestazione studentesca, le bombe di Piazza Fontana a Milano, il Cile di Salvador Allende, l’Argentina della dittatura militare, l’emergenza sanitaria del Covid 19. 
E poi, a dilatare la portata storica degli eventi, si possono trovare gli innumerevoli riferimenti letterari e musicali di Emilio Salgari, Guido Gozzano, Eugenio Montale, Pier Paolo Pasolini, Dario Fo Edoardo Galeano, Jack Kerouac, Raymond Radiguet, Ernest Hemingway, il sempre presente Giovanni Arpino, e infine Francesco Guccini, Paolo Pietrangeli e gli Inti Illimani. 
Pastorin, nato a San Paolo del Brasile nel 1955, figlio, nipote e pronipote di emigranti veneti, si conferma così tra i più importanti narratori sportivi, e in ogni pagina del libro, come in un romanzo popolare, si legge un intreccio perfetto fra i fatti legati alla politica, alla cronaca e allo sport.
Ma il suo libro ruota intorno alla figura di Enzo Bearzot, nato a Aiello del Friuli (Udine) nel 1927, che prima di essere il grande allenatore che tutti conosciamo, fu un calciatore (mediano destro) dai primi anni del dopoguerra fino al 1964, giocando nel Pro Gorizia, nell’Inter, nel Catania ma soprattutto nel Torino del “dopo tragedia” di Superga (229 presenze e 8 gol). 
Dopo il ritiro dall’attività agonistica si dedicò poi alla carriera di allenatore.

Allievo di Nereo Rocco e di Edmondo Fabbri, in seguito all’esperienza nelle giovanili del “Toro” e nel Prato in serie C, entrò nei quadri federali come allenatore dell’Italia Under 23 e, nel giro di qualche anno, fu promosso assistente di Ferruccio Valcareggi (Mondiali in Messico nel 1970 e in Germania Ovest nel 1974) e poi di Fulvio Bernardini, nella Nazionale maggiore. Con quest’ultimo, dal 1975, condivise la panchina di CT dell’Italia fino al 1977, anno in cui prese completamente in mano il “timone” della squadra azzurra fino al 1986...

Il sogno della Nazionale tutta sua


Il Vecio costruì sin da subito la “sua” Nazionale in ogni reparto: difesa, centrocampo e attacco. Ma, per arrivare alla vittoria del Mondiale in Spagna, bisogna passare dall’entusiasmante esperienza al Mondiale in Argentina del 1978, in cui gli azzurri si piazzarono al 4° posto, esprimendo il miglior gioco della manifestazione. 
Lo stesso piazzamento si registrò, due anni dopo, agli Europei del 1980 in Italia. Bearzot impostò dall’inizio la squadra sul blocco Juventus, completandola con un ridotto blocco del Torino e con giocatori affidabili come Rossi e Antognoni. Nel 1982 si aggiunsero al gruppo Collovati, Oriali, Altobelli e Bergomi.
Ma, alla viglia dei Mundial, l’Italia di Bearzot non era tra le favorite, anzi la partenza della Nazionale per la Spagna fu accompagna da polemiche e malumori: «Già Vecio: è stato un cammino duro. Fin dall’inizio. Le amichevoli poco convincenti prima del Mondiale: le sconfitte con la Francia e la Germania Est e poi il pareggio, il 28 maggio, con la Svizzera, la partita del ritorno in azzurro del tuo Pablito. Partirete per il Mundial, il 2 giugno, con già tanto veleno alle spalle ».
Però, dopo i tre deludenti pareggi registrati nella prima fase con Polonia, Perù e Camerun, arrivarono le vittorie contro l’Argentina di Maradona (2 a 1) e soprattutto contro il Brasile di Zico e Falcao (3 a 2), con la storica tripletta di Paolo Rossi, che continuerà a trascinare con i suoi gol (doppietta in semifinale con la Polonia e una rete in finale con la Germania Ovest) l’Italia alla vittoria finale del’11 luglio a Madrid.
E l’ultima parte del libro è dedicata proprio a Rossi: « Caro Pablito, ho appena finito di scrivere la mia lettera al Vecio e, prima di mettere la parola fine, ho provato il desiderio di rivolgermi a te. E dedicare questo ultimo capitolo non ha un simbolo, ma al numero 20, quello della tua maglia al Mundial, quello che, dal 5 luglio 1982, fece il giro di ogni angolo della nostra Terra, diventando l’emblema del riscatto e della classe ». 

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