Gigi Proietti, ecco l'autobiografia: "In Italia degrado
ovunque, come se fossimo usciti da una guerra"

Gigi Proietti (LaPresse)
Gigi Proietti (LaPresse)
di Valeria Arnaldi
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Martedì 19 Novembre 2013, 08:15 - Ultimo aggiornamento: 08:16
ROMA - Tutto sommato qualcosa mi ricordo. Si intitola cos l’autobiografia appena pubblicata con Rizzoli da Gigi Proietti, storia di una vita per il teatro. E molto di pi.





Proietti, come mai ha deciso di raccontarsi ora?

«Ho resistito molto all’idea, credo che ognuno ritenga di non avere vissuto una vita degna di un libro, poi ho cominciato a buttare giù i ricordi, mi ha affascinato e divertito. Ci ho preso gusto».

Il racconto di una vita e del Paese?

«Ritengo che il periodo dell’immediato dopoguerra sia stato poco raccontato, anche dal cinema. Io non faccio una critica storica di quegli anni, semplicemente narro aneddoti della mia vita inserendoli nel contesto. Volevo costruire una storia parallela a quella del Paese. Spero di far ricordare quel tempo a chi lo ha vissuto e farlo immaginare agli altri. Credo sia un momento in cui è importante raccontarsi per capire l’epoca in cui viviamo».

Parliamo di teatro: lo spettacolo più amato?

«A me gli occhi, please, nato a Sulmona nel 1976. Gli altri miei spettacoli, diciamo che sono suoi nipoti».

Qual è il rapporto con il cinema?

«Ho fatto dei film, non ho una carriera cinematografica. Non so perché. Forse pensavano non bucassi, come dicevano per la tv prima del successo de “Il Maresciallo Rocca”. Ho le mie responsabilità, probabilmente portavo troppa teatralità. Me lo sono chiesto tanto, ora non me lo chiedo più».

Il risultato è una carrellata di ricordi felici, senza tristezze…

«Sono passato sopra alle tristezze, ci sono già tanti motivi per piangersi addosso. Credo sia più importante trasmettere speranza».

Nessun rimpianto?

«Non aver lavorato a teatro con Vittorio Gassman».

Nel libro parla anche di politica e di Roma: è davvero una città in cui il buono viene messo da parte?

«Non so se lo sia solo Roma, so che a me qui è capitato. Il laboratorio per i giovani, finanziato dalla Regione è stato chiuso senza alcun motivo. Ho scoperto di non essere più il direttore del teatro Brancaccio, la mattina, leggendo il giornale al bar. Non ne so ancora i motivi e non li voglio sapere. Quando ho proposto l’apertura del Globe Theatre non immaginavo sarebbe nato realmente. Oggi, ne sono direttore e penso che, se dovessero togliermelo, stavolta lo occuperei».

Cosa chiederebbe alla politica nazionale a livello culturale?

«L’Italia di oggi somiglia a quella del dopoguerra, solo che la guerra non c’è stata. È una situazione di degrado, visibile nelle diverse città. In alcune è più difficile tornare indietro. Bisogna ricostruire. Serve più attenzione. Occorre pensare ai giovani. Leggiamo spesso di ragazzi violenti e ubriachi, bisogna ripartire dalle scuole e dalle famiglie».
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