Vecchioni e l’amore per la vita, concerto a Lecce per solidarietà

Vecchioni e l’amore per la vita, concerto a Lecce per solidarietà
di Ilaria MARINACI
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Domenica 11 Dicembre 2016, 14:14 - Ultimo aggiornamento: 19:08
«Sono anni che io mi batto su due fronti, quello della sclerosi multipla e quello dei problemi psichici. Appena posso, mi metto a disposizione perché sono anche dolori miei personali, che ho dovuto affrontare in famiglia. Avendoli, quindi, conosciuti da vicino, ho potuto capire quanto sia importante combatterli».
È speciale la tappa leccese – prevista domani sera, alle 21, al Politeama Greco – del tour di Roberto Vecchioni. Il ricavato della vendita dei biglietti della serata, patrocinata dal Comune di Lecce, sarà devoluto per sostenere le attività nel capoluogo salentino del neonato Progetto Itaca, che si occupa di giovani adulti con alle spalle una storia di disagio psichico.
“La vita che si ama”, tour 2016 del “professore” della musica italiana, è ispirato al suo omonimo libro, l’ultimo, che esplora l’universo degli affetti del cantante senza trascurare pezzi classici del suo repertorio, come “Luci a San Siro”. Il filo conduttore è fatto da frammenti di memoria personale, da “Stelle” e “Figlio figlio figlio” a “Sogna ragazzo sogna”. Restano fuori altri brani molto noti di Vecchioni, scelta fatta per creare un’atmosfera intimista e familiare, dal ricordo della mamma in “Dimentica una cosa al giorno” a “Un lungo addio”, dedicato alla figlia. 

“La vita che si ama” è il titolo del tour e del suo ultimo libro, non del disco. Perché questa scelta?

«Perché così almeno si ha un’idea sola di quello che faccio. Non sono cose diverse, ma la stessa cosa. “La vita che si ama” è una ricerca continua della felicità, dello star bene insieme a se stessi e agli altri, è il tratto di vita più bello che possa esistere e anche il fatto di costruirsela la felicità, perché non è che piova dal cielo. Dobbiamo essere padroni del nostro destino e seguire il tempo, fermarlo quando è necessario, per godere degli attimi più belli e non abbatterci mai momenti brutti che pure capitano. Nello spettacolo, si parla di malinconia, di dolore, di ritorni, di gioie, di rivincite ed è dedicato ai miei figli perché è la narrazione della mia vita, di quello che ho amato e di quello che non ho amato, raccontato a loro anche attraverso la loro vita, i loro affetti, i loro dolori. È una specie di diario sentimentale con i figli». 

Cosa le hanno insegnato i suoi figli?

«Mi hanno insegnato che non sono un buon padre. Sembra una battuta ma è così. Mi hanno insegnato che non ho insegnato loro a vivere la vita di tutti i giorni, quella pratica, che vuol dire anche difendersi dai nemici subdoli. Questo, in effetti, non sono mai stato capace di farlo e me lo rinfacciano, soprattutto i maschi. Però, in fondo, credo che siano felici di quello che ho tentato di dare loro, cioè credere nei sogni e avere un’idea chiara di cos’è la bellezza. Loro hanno usato questi insegnamenti come un’arma contro le difficoltà». 

Per lei la bellezza è sinonimo di cultura?

«Sicuramente. Le cose belle devono essere prima di tutto vere, poi emozionanti e, infine, semplici. Non facili, ma semplici. Le cose semplici sono quelle che hanno dei valori dentro e arrivano subito all’anima, al cuore. Il bello ti salva la vita». 

Come arte e letteratura. 

«Il bello è lì, come in quasi tutte le cose naturali. Ma anche alcune cose costruite dall’uomo, quando sono a dimensione d’uomo e di natura, sono belle. Basti pensare alla differenza che esiste fra uno stile, classico o barocco che sia, e le case di oggi costruite solo per praticità. Quando si sfugge dal bello, ci si rattrista. È orribile vivere in un mondo di cose brutte». 

Cosa pensa della mobilitazione per salvare il liceo classico e lo studio del latino e del greco?

«L’ho appoggiata tantissimo. Il liceo classico non è, come pensa la gente, un luogo stantio, vecchio, inutile e pieno di persone snob che pensano di essere meglio degli altri. Questi sono stereotipi falsi e bugiardi da eliminare dalla mente. Il liceo classico è l’unica possibilità di capire il mondo. Se tu non passi da quello che hanno detto e fatto i greci e i latini, non capirai mai il mondo moderno. Se tu non conosci la parola, il senso del discorso, le funzioni del teatro e della cultura che ci hanno passato gli antichi, non conosci il mondo. C’è una frase di Antonio Gramsci molto bella che dice che si studia il latino e il greco non per parlare queste lingue, ma per imparare a studiare. Il latino e il greco, infatti, ti insegnano come muoverti in tutte le discussioni della vita, ti insegnano i nessi logici, quindi, appunto, a studiare. E non dimentichiamo che studere in latino significa amare». 

Lei ha avuto davanti, sui banchi del liceo e ora all’Università, tante generazioni. Che consiglio darebbe ai ragazzi di oggi?

«Seguire la propria affettività, le proprie speranze e avere sempre la cultura a portata di mano». 
 
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