«Forti ed eccentrici: i miei film preferiti»

Iaia Forte nel corto "L'elemosina"
Iaia Forte nel corto "L'elemosina"
di Anita PRETI
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Martedì 3 Novembre 2020, 10:23 - Ultimo aggiornamento: 10:30

C'è una bella e neanche tanto antica canzone napoletana, interpretata spesso dai grandi, il cui titolo è Indifferentemente. Riportando la parola al suo ruolo di avverbio ecco che indifferentemente si attaglia benissimo a Iaia Forte al centro dell'attenzione del Festival del cinema europeo in corso a Lecce. La meravigliosa attrice napoletana (la meraviglia risiede anche nelle sue qualità umane e nella indiscussa potenza del suo lavoro artistico) può infatti indifferentemente passare dal ruolo di Trumeau che la porta all'Oscar, insieme a tutto il cast de La grande bellezza di Paolo Sorrentino, a quello di irresistibile comicità di Lucia Scamardella per Una festa esagerata, il film di Vincenzo Salemme, e ancora all'ardente Erodiade di Giovanni Testori. E quando non sono figure femminili, c'è poi sempre Tony Pagoda, il neomelodico esagerato. Ora invece c'è Laura, ruolo principale nel lavoro del salentino Gianni De Blasi, "L'elemosina", cuore ieri dell'incontro a distanza (per le note cause) con il pubblico che potrà vedere il corto sulla piattaforma del Festival fino alle 20 di domani.


Così Iaia Forte racconta la storia di Laura, una donna benestante che spinta dagli eventi finisce sulla strada, ad elemosinare: Invasa da sensi di colpa fa una scelta non convenzionale, un po' folle. E, a parte la grande simpatia per Gianni De Blasi, devo ammettere una certa mia attitudine ad assecondare progetti tendenti alla eccentricità, progetti che sfuggono alla omologazione in cui ci schiaccia la cultura imperante. L'elemosina è uno di questi. Trovo che sia importante riflettere sulla insensatezza di questo mondo consumistico. Ed ancora aggiungo che, nella mia tendenza ad interpretare personaggi estremi, la clochard mi mancava.


Laura: criticarla o comprenderla?


«Critichiamola, anche questo mi intrigava. Una figura negativa, perché ha venduto la sua vita. Sprofonda nella zona occulta di sé, una zona psichica. Solo nella scena finale, immaginiamo che possa avere un futuro diverso».


Cosa la induce a provare attenzione per i corti e non è la prima volta?


«La mia biografia. L'esordio con Libera di Pappi Corsicato che era un corto e solo dopo è diventato un film. Quasi si accendesse un memoria biologica».


Non è dai corti e dai documentari che arrivano interessanti sorprese per un cinema non sempre smaltato come una volta?


«Sì, perché il cinema italiano è molto omologato.

Prodotti insignificanti e fallimentari per l'industria cinematografica. Mentre nei corti e nei documentari si trova un germe diverso da questi papponi che ci somministrano. E c'è qualcosa di nuovo proprio nel Salento: penso a Oltre il confine girato da Alessandro Valenti che è invece coraggiosissimo lungometraggio, l'unico italiano che abbia richiamato l'attenzione di Arté».


A proposito di questo Sud: sono dieci anni da Notizie degli scavi girato da Emidio Greco e il regista tarantino riceve un omaggio proprio qui dal Festival. Che ricordo ne ha?


«Grande persona, grande intellettuale non convenzionale. Sono fiera di averlo avuto per amico e di aver fatto parte di un suo progetto».


C'è una frase di Indifferentemente, il secondo verso (e nuje, pe' recitá ll' ùrdema scena) lo si prende in prestito per chiederle dov'era quel giorno quando si è fermato tutto?


«Stavamo girando con Mario Martone il film su Eduardo Scarpetta. Di colpo ci è stato detto: non si va più avanti. Ma il momento più terribile è questo. Quando si sente parlare di un Netflix della cultura da chi è estraneo ad essa e dice solo eresie. Un concetto scorante: noi considerati tempo libero, affiancati alle palestre. Un'aberrazione. Io ho conosciuto grandi maestri, ma i giovani oggi devono entrare in relazione con questa classe dirigente?».


Quando tutto sarà finito da dove riprende?


«Intanto c'è il set di La donna del vento, la fiction di Ricky Tognazzi e Simona Izzo, con Sabrina Ferilli. Giriamo in un luogo immaginario che senza tanti giri di parole è l'Ilva, raccontando il coraggio di tante donne che sono delle vere madri d'acciaio».


Per restare sul piccolo schermo, la recente serie di Pappi Corsicato, Vivi è lascia vivere su RaiUno, con lei nel ruolo di Marilù, ha ottenuto un bel successo. Finisce lì o continua?


«Per ora non è previsto un seguito. Ma è stato bello raccontare temi diversi, con donne mature, donne atipiche, donne che si reinventano la vita come Laura de L'elemosina sta per fare».


Corsicato, Servillo, Martone, Moscato: lei attraversa tutta Napoli. Cosa ha di speciale il vostro lavoro? Quale la vostra forza, riconosciuta da tutti?


«Il dialetto. Non lo si crederà, ma per noi è come una nonna».
 

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