Guns n'Roses, live sold-out in Italia dopo 25 anni

Foto di Fabiana Guido
Foto di Fabiana Guido
di Valeria BLANCO
6 Minuti di Lettura
Lunedì 12 Giugno 2017, 23:47 - Ultimo aggiornamento: 13 Giugno, 12:30
Bisogna prendere un lungo respiro prima di parlare dei Guns n’Roses. Un respiro lungo 25 anni. Tanti ne sono passati dal loro ultimo live in Italia: era il 1993 a Modena, e gli spettatori erano 50mila. Un’enormità per l’epoca. Il 10 giugno scorso all’Autodromo di Imola erano esattamente il doppio a salutare il ritorno della band americana guidata da William Axl Rose from Lafayette, Indiana, per l’unica tappa italiana di un tour mondiale fatto quasi tutto di sold-out, come ai “vecchi” tempi.

La reunion. Il titolo del tour è una buona (e ironica) sintesi dei 25 anni di vuoto: “Not in this lifetime”, non in questa vita. Come la frase pronunciata da Axl in un’intervista in risposta al giornalista che chiedeva quando ci sarebbe stata la reunion dopo lo scioglimento della band e anni di liti giudiziarie per i diritti su musica e testi. Se la fase della competizione e rivalità – soprattutto tra il leader della band e il chitarrista Slash – sia stata definitivamente superata, o se questo tour sia frutto di un compromesso per finalità economiche, è un dubbio lecito da porsi. E tuttavia, lo show non ne risente. Anzi, si parla persino di un nuovo album in lavorazione.

Il live. Tre ore abbondanti di rock e sudore, 27 brani, quasi senza pause: una maratona che scorre in un tempo indefinito e che agli spettatori sembra durare pochissimo. E quando le note di “Paradise city” risuonano ad annunciare la fine, se ne vorrebbe ancora. E ancora. E ancora. Sono lontani gli anni degli show che iniziavano in ritardo, quando non venivano addirittura rinviati o annullati per le intemperanze di qualche membro della band. Il live inizia persino in anticipo, alle 20.40, e a Imola il sole non è ancora calato.

La scaletta. Si parte saltando ai ritmi elevati di “It’s so easy”, seguita da “Mr.Brownstone”, quasi un messaggio da parte della band che, a dispetto dei chili messi su con l’età, vuole dimostrare di non essere affatto cambiata. Almeno musicalmente, perché invece, se “Mr Brownstone” è un inno alla droga, oggi i membri della band sono definitivamente “puliti”: yoga, cibo sano e più o meno tutti si allenano in palestra con il personal trainer per affrontare al meglio il palco. Manca persino l’iconica sigaretta accesa tra i riccioli di Slash, ma tant’è. Axl Rose corre un po’ meno ma corre, e riesce persino a schivare all’ultimo secondo una bottiglietta d’acqua lanciata sul palco da un fan che poi non vedrà la fine del concerto. Slash fa l’amore con la sua chitarra in lunghi assoli ispirati, che permettono al cantante di prendere fiato. E la sintonia con la seconda chitarra, che risuona tra le dita di Richard Fortus, è uno dei punti forti del live. Il bassista Duff McKagan è la dimostrazione che con l’età si può anche migliorare. “Chinese Democracy” insieme con “Better” e “This I love” sono gli unici brani in scaletta che appartengono all’album del 2008 dei Guns di Axl Rose, ma senza Guns. Ed è giusto così: i fan – in gran parte over 30, se non over 40 – sono qui per la band, quella vera. A cui, per essere al completo, mancano il batterista Matt Sorum e la chitarra di Izzy Stradlin.

Le hit. La scaletta è stata in gran parte “depurata” dai brani con testi sessisti e razzisti che negli anni d’oro hanno causato tanti problemi alla band. Un segno di maturità, perché nell’era del “politically correct” testi del genere non sarebbero più accettabili. E quello che negli anni ’80 si perdonava a sei ventenni ribelli e sbandati, non si può più perdonare a uomini maturi, diventati icone del rock. Ma i grandi classici ci sono tutti, tanto che il concerto è una lunga cavalcata in sella a sole greatest hits. “Welcome to the jungle” infiamma gli animi, scalda le corde vocali di Axl e fa partire un boato che non cesserà per le due ore successive. “Double talking jive” lascia il passo a  “Estranged”, che apre la porta alla sezione centrale del live, orchestrata su ritmi più pacati e in cui spuntano le ballad tanto care ad Axl Rose. Su “Live and Let Die” – che pur essendo una cover nell’immaginario collettivo è a tutti gli effetti un brano della band – il boato del pubblico sovrasta persino la voce di Axl, che forse ha un’estensione un po’ meno ampia rispetto al passato, ma non ha perso nulla in quanto a potenza. Poi “Rocket Queen” e “You could be mine”, che è stata la colonna sonora di “Terminator” con Arnold Schwarzenegger. “Attitude” dei Misfits, perfettamente eseguita da Duff alla voce, e ancora “Civil War”, “Yesterdays”, “Coma”. Il lungo assolo alla chitarra di Slash che si trasforma in “Speak Softly love”, colonna sonora de “Il Padrino” scritta da Nino Rota: un grande classico nei live dei Guns n’Roses sin dagli anni ’90, ma che in Italia suona particolarmente bene. Slash è ispirato, i suoi assoli lasciano i centomila quasi senza respiro nonostante qualche perdonabile defiance, una dovuta pure a una corda spezzata.
Un concerto purtroppo “muto”. Axl si limita a presentare gli altri membri della band: oltre agli storici Slash, Duff e al tastierista Dizzy Reed, in questo tour ci sono Melissa Reese a tastiere e sinth, Fortus alla seconda chitarra e il batterista Frank Ferrer. Muto ad eccezione di un’unica frase, che il pubblico si fa bastare perché è una dichiarazione d’amore di Axl dopo l’ennesimo boato dei fan: “I love you too”, vi amo anch’io. E si riparte.

Le curiosità. “Sweet Child o’mine”, esecuzione perfetta per “My Michelle”, una “Whish you were here” dei Pink Floyd da brividi. La band si diverte, con Duff che regala sorrisi mentre solletica le corde del suo basso, Slash abbandona per un attimo la chitarra (ma non il cappello) e si esibisce in una verticale al centro del palco. Per “November Rain”, terzo cambio d’abito per Axl al pianoforte, che abbandona i giubbotti di pelle e sfoggia un’improbabile giacca leopardata azzurra e nera che ricorda quelle di Elton John. Le sue dita appesantite da anelli da centinaia di migliaia di dollari scorrono veloci sui tasti, così come veloce scorre il tempo e si avvicina la fine del concerto. Cori verso il cielo per “Knocking on heaven’s door”. Poi i ritmi risalgono sulle rotaie del “Nightrain”, vero brano manifesto della band e anche nome del fanclub ufficiale. Come dice il testo, la band è davvero “carica come un treno merci e vola come un aeroplano”. E a questo punto non c’è davvero più bisogno di dimostrare niente a nessuno. Ma lo capisci subito che non può finire così.

Il finale. Il “ritiro” della band nel backstage dura appena pochi secondi. Su “Don’t Cry” i picchi di emozione sono altissimi e si sciolgono il lacrime quando Axl annuncia l’esecuzione, “for one last time”, per l’ultima volta, di “Black Hole Sun” dei Soundgarden, omaggio all’amico Chris Kornell recentemente scomparso. Le chitarre vibrano e la potenza della voce fa il resto. Sulle note di “Paradise city”, fuochi d’artificio e coriandoli colorati di bianco, rosso e verde, i colori della bandiera italiana. E i centomila, mentre cantano, lo sanno che il Paradiso, oggi, non è molto distante da Imola.
© RIPRODUZIONE RISERVATA