Il racconto choc del regista pugliese Giuseppe Sciarra: «A scuola mi sputavano e mi picchiavano, ho tentato il suicidio due volte». La storia in un documentario

Il racconto choc del regista pugliese Giuseppe Sciarra: «A scuola mi sputavano e mi picchiavano, ho tentato il suicidio due volte». La storia in un documentario
di Giuseppe ANDRIANI
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Sabato 18 Marzo 2023, 18:59 - Ultimo aggiornamento: 19:07

«Oggi ho una vita come tante, come voi. Io ce l'ho fatta, sono sopravvissuto, ho un debito con il destino, non tutti quelli che hanno subito le mie violenze hanno avuto la mia fortuna». In un documentario autobiografico parla Giuseppe Sciarra, regista foggiano trapiantato a Roma. Il suo corto "Ikos" è stato inserito nella collana "The ticket show" ed è visibile su PrimeVideo, il servizio streaming in abbonamento di Amazon. La voce dell'artista pugliese si alterna a quella di Edoardo Purgatori (noto anche per aver partecipato alla serie tv "Le fate ignoranti" di Ozpetek) e il documentario ha già vinto diversi festival, tra cui il Lecce Film Fest, ottenendo anche la candidatura ai David di Donatello. 

Il racconto degli atti di bullismo subiti in infanzia e adolescenza è volutamente crudo, persino brutale. Arriva come un pugno nello stomaco. In 15 minuti di grande intensità, Sciarra racconta quello che ha vissuto nella provincia pugliese (nel Foggiano, per la precisione), dagli insulti agli sputi e alle botte, fino ad arrivare ai due tentativi di suicidio.

Figlio più piccolo (con tre sorelle maggiori) di Antonio, insegnante di scuola media, e Assunta, casalinga, Giuseppe capisce presto - a sette anni - di essere "diverso". Gli insulti arrivano poco dopo. Un giorno, già negli anni delle elementari, un ragazzino gli sputò in faccia e lo chiamò "frocio". Il fil rouge degli insulti e delle discriminazioni nei suoi confronti è l'omofobia. Ed è un qualcosa che si è riproposto anche in questi mesi, visto che durante il Lecce Film Fest ha ricevuto una lettera, a sfondo omofobo, con insulti e minacce. Nel giugno del 2022. 

Giuseppe Sciarra, la storia

Ma questa storia parte già alla fine degli anni '80. Dopo quegli insulti Sciarra racconta di esser tornato a casa e di non aver detto nulla ai suoi genitori. «Negli anni gruppi di ragazzini mi picchiavano, sputavano, minacciavano, mi lanciavano delle pietre addosso. E quando mi facevano male, loro godevano». I toni sono crudi, forti. E devono arrivare così. «Non uscii più, diventai un fantasma. Loro dovevano dimenticarsi del frocio. Un giorno in palestra un ragazzo mi disse che mi prendevano in giro perché effeminato. Io non me ne ero accorto, io ero solo me stesso. I miei genitori poi decisero di cambiare città. Fu un'occasione per essere accettato, per cambiare tutto. Ma anche in quella città venni sfottuto costantemente, peggio di prima», dice Giuseppe. 

Poi il primo tentato suicidio. Fu salvato dalla mamma, aveva buttato giù delle pillole. La rabbia, che cresce: «I bulli avevano vinto, avevo deciso di ammazzarmi». «A 12 anni uno di voi, piccoli mostri, mi colpì in faccia con un pallone. Mio padre teneva nascosta una pistola, quel giorno l'avrei presa e gli avrei sparato. Oggi mio padre ha l'alzheimer. Mi chiedo se il dolore che gli ha causato quello che ho vissuto non l'abbia portato ad ammalarsi», continua. E i racconti fanno rabbia anche a chi guarda:  «Al catechismo un bambino mi prese per il bavero della maglia e mi disse di ripetere con lui che ero frocio. E che a quelli come me avrebbero dovuto dare fuoco. Oggi quel bambino è un uomo, quando incontra mia madre in paese le chiede come sto». La mamma, Assunta, racconta quello che ha vissuto lei: «Non sapevo niente», dice. «Quando lo vedo oggi penso che è un miracolo, sta bene».

Per stare bene, Sciarra ha fatto un viaggio alla ricerca di se stesso. Oggi ha 40 anni, è un regista affermato, vive la propria sessualità in maniera naturale. «Non sapevo più chi fossi. Il suicidio mi era cresciuto dentro come un'erbaccia. Tentai ancora, senza riuscirci. Andai a vivere a Roma, lì toccai il fondo. La fine di un legame d'amicizia, mi fece capire che dovevo curarmi. È difficile raccontare come sono guarito. Posso dirvi che sono rinato per la terza volta, in maniera nuova. Ho fatto un viaggio dentro di me e con molta fatica e dolore sono arrivato ad amarmi». Ma sente un debito con il destino: «Non tutti coloro che hanno vissuto una storia come la mia ce l'hanno fatta, in tanti hanno scelto di ammazzarsi». E nel documentario c'è una voce ricorrente: «Ti diranno che erano solo bambini». Giuseppe non ha dimenticato, ha realizzato un documentario straordinariamente efficace, forte come un pugno nello stomaco. Per raccontare a tutti quello che ha vissuto. È questo l'atto di coraggio più grande, più bello, più forte.

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