Gianna Nannini al Medimex: «Ecco HitStory, il mio racconto in musica»

Gianna Nannini al Medimex: «Ecco HitStory, il mio racconto in musica»
di Valeria BLANCO
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Sabato 31 Ottobre 2015, 16:04 - Ultimo aggiornamento: 16:46

Trentadue tracce, due cd. Gianna Nannini è arrivata come ospite di punta della seconda giornata del Medimex di Bari per presentare in anteprima nazionale il suo nuovo album, “HitStory”, una raccolta dei suoi più grandi successi, in uscita il 6 novembre.

Un’occasione, quest’album, per ripercorrere tutte le tappe di una lunga carriera che con questo lavoro antologico mette un punto e si prepara a una svolta: Gianna Nannini è già al lavoro sul prossimo album di inediti che, annuncia “è frutto di una ricerca nuova. Sarà meno rock, forse, perché la musica è più scarna rispetto al passato e si sente di più la voce. Avrà un’impronta acustica e mediterranea, con testi che mi piace definire blues perché sono molto diretti”.

Intanto, però, c’è un album con un packaging accattivante che contiene un pezzo di storia della musica italiana. Contiene brani come “Fotoromanza”, “Bello e impossibile” e “America”, ma anche cover come “Amandoti” e “Ciao Amore ciao”. E ci sono pure alcuni inediti che già girano in radio. All’interno – per gli appassionati – c’è il “Giocagianna”, un gioco dell’oca disegnato sulla forma del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, in cui ogni casella corrisponde a una foto della Nannini ed è abbinata a un suo ricordo.

«“HitStory” – ha spiegato la cantautrice - nasce dal gusto di raccontare storie che ho scoperto grazie a mia figlia, Penelope.

Ho deciso di raccontare la mia, di storia, proprio come racconto le favole a Penelope».

La chicca: la foto diventata la cover dell’album è stata scattata da un bambino di 9 anni con un cellulare in un momento di gioco tra Gianna e Penelope nei giardini di Kengsington, a Londra, proprio accanto alla statua di Peter Pan, la cui innocenza è un po’ il simbolo di questo greatest hits.

Quando ci si trova di fronte Gianna Nannini, però, è quasi impossibile parlare solo di un album. Il suo sguardo sul panorama della musica italiana attuale è ampio e critico. «Del rap – racconta – mi piace il fatto che abbia riportato la centralità della parola, un po’ come faceva un tempo la musica popolare. Quello che manca è l’innovazione nei suoni, forse perché in Italia abbiamo carenza di ingegneri del suono».

Quello che abbonda, invece, è la trasgressione diventata ormai un cliché. «Personalmente preferisco la provocazione, che ho sempre usato per comunicare qualcosa, alla trasgressione fine a se stessa». La musica è donna? «In Italia c’è un forte pregiudizio nei confronti delle donne che fanno musica. Si è portati a considerarle più come interpreti che come autrici, anche se ci sono alcune felici eccezioni come Carmen Consoli».

E ancora, l’invadenza dei talent show: «I programmi vanno bene, ma basta con le cover, meglio far ascoltare musica nuova e originale».

Una lunga parentesi merita il rapporto tra la Nannini (nel 2004 sul palco della Notte della Taranta, chiamata dal maestro concertatore Ambrogio Sparagna) e la musica pugliese. «Sono venuta qui – ha raccontato – per capire la pizzica e i suoi tempi ritmici, che non abbiamo nel repertorio toscano. Ho studiato sui libri, con De Martino, e dal vivo con Pino Zimba, che ha formato una giovane generazione di musicisti salentini come gli Après la classe. È bello vedere che la Notte della Taranta si trasforma in una terapia di gruppo che unisce artisti e pubblico. Su quel palco ho cantato “Fimmene Fimmene”, un brano che in altre occasioni ho riproposto con un dj e da solo basta per fare un rave».

Adesso Gianna Nannini è pronta per il tour: «Si va nei teatri dell’opera d’inverno e nelle arene d’estate, per sfruttare l’acustica migliore perché voglio far capire il sound». Sul palco con la Nannini, un’orchestra sinfonica e, nelle arene, la Bohemian simphony orchestra di Praga, un’orchestra che il produttore della Nannini definisce “molto rock”. «Con questo tour – dice Gianna – lancio una provocazione: sono convinta che non bisogna cambiare musica per andare in teatro, ma bisogna aprire i teatri al rock».