La Puglia e il Salento sono gli scenari che Sergio Rubini ha scelto nella sua lunga carriera per raccontare il suo mondo, un mondo dove i protagonisti dei suoi film si muovono tra elementi magici, ricordi e amori. Uno dei fattori determinanti che caratterizza la carriera di Rubini è la lunga esperienza nel teatro e lo studio delle opere di Eduardo De Filippo a cui il regista ha reso omaggio con il suo ultimo film, “I fratelli De Filippo”. Una lunga carriera, divisa tra essere attore e regista, quella di Sergio Rubini che ieri è stato a Lecce ospite del Festival del Cinema Europeo che gli ha consegnato l’Ulivo d’Oro alla carriera come “protagonista del Cinema Italiano”.
Nella sua filmografia i luoghi della Puglia e del Salento emergono in maniera preponderante, quanto ha influito il paesaggio nella scrittura dei suoi film?
«Sono figlio di questa terra, quindi quello che racconto è intriso di questi luoghi che hanno influito tantissimo sui film che ho fatto. A me fa piacere quando tutti vengono a girare in Puglia, ma lo dico con la spocchia di chi ha girato il suo primo film nel 1999 quando qui non erano arrivati nemmeno i Lumiere, infatti, quando io e Procacci abbiamo fatto “La stazione”, casualmente ci siamo inventati una Proto Film Commission. Io non vivo più in Puglia però rispetto ad altri registi che vengono a girare qui, io torno a casa; loro inquadrano dall’esterno io invece dall’interno. Per me il paesaggio della Puglia è come un teatro di posa, dove conosco bene gli spezzati, le quinte, i riflettori; sono pienamente a mio agio, talmente a mio agio che a un certo punto ho sentito il bisogno di andare a Napoli a fare un film sulla cultura napoletana, raccontare qualcosa di profondamente diverso anche se contiguo a questa terra che porto sempre con me e con cui dovrò sempre fare i conti».
E così si è misurato con un biopic. Cosa l’ha spinta a raccontare la storia dei fratelli De Filippo?
«Da ragazzo ho incominciato a recitare con il mio papà in una filodrammatica e da buon meridionale le commedie che si facevano erano quelle di Eduardo e la prima volta che sono entrato in un teatro sono andato a vedere un opera di Eduardo.
Quale consiglio dà ai giovani attori?
«Oggi viviamo in un mondo in cui con un click puoi mettere un filtro e trasformarti, io credo che il messaggio da dare sia quello di assomigliare alle proprie foto, cercare di portare in giro noi stessi con i nostri difetti e brutture senza filtri, perché il vero patrimonio di ognuno di noi è quello che siamo senza mascheramenti. Suggerirei ai giovani attori di voler essere semplicemente ciò che sono. Un attore deve imparare a spogliarsi e dare la sua più autentica interiorità. Poi ovviamente ci vuole talento, qualche incontro fortunato che ti sappia spianare la strada, bisogna studiare, sostenere un concorso perché c’è qualcuno che ti giudica e poi, soprattutto, se non si ha voglia di soffrire consiglio di fare altro».
E i suoi prossimi progetti?
«Sto scrivendo una serie per Rai 1 di cui sarò regista, ma non posso dire di più. Sarà una mini serie, ma per quanto mi riguarda è una maxi serie perché è un’operazione a cui sono molto legato, un vecchio progetto che io e il produttore covavamo da più di vent’anni. Poi, con grande curiosità e con una nota di dolcezza, sarò attore nel primo film diretto da Margherita Buy che a gennaio si accinge a esordire come regista».