La cultura “nazionale” tra identità e alterità: la destra al governo e gli stati generali sul pensiero moderno

La cultura “nazionale” tra identità e alterità: la destra al governo e gli stati generali sul pensiero moderno
di Francesco FISTETTI
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Domenica 9 Aprile 2023, 20:58 - Ultimo aggiornamento: 21:05

È passato quasi sotto silenzio il convegno “Pensare l’immaginario italiano. Stati generali della cultura nazionale”, tenutosi a Roma giovedì scorso presso l’Hotel Quirinale e promosso da intellettuali vicini all’area della destra italiana. La presenza del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, che ha svolto una relazione, di Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura della Camera, di Francesco Giubilei, in rappresentanza di “Nazione futura”, collettivo culturale riconducibile a Fdi,  è un segnale abbastanza eloquente che la destra politica, che con Giorgia Meloni per la prima volta nella storia del secondo dopoguerra guida un governo del nostro Paese, aspira a diventare una destra culturale.

Cultura conservatrice

Si tratta ovviamente di un progetto ancora fumoso, i cui contenuti ideali (ad es., famiglia, nazione, patria, religione, sesso, ecc.), anche quando sono enunciati con una certa chiarezza in antitesi ai presunti disvalori da contestare (aborto, gender, multiculturalismo, ecc.), stentano a trovare una traduzione politica immediata, perché urtano contro l’antemurale della Costituzione italiana e delle istituzioni dello Stato di diritto. Non è un caso che gli organizzatori del convegno hanno chiarito che, più che di “cultura di destra” (una locuzione probabilmente ritenuta pericolosa per la prossimità che evoca con “Casa Pound”), preferiscono parlare di “cultura conservatrice”. Uno spostamento che non è solo linguistico, ma allude alla volontà di costruire, servendosi degli apparati dello Stato, una concezione del mondo di un certo tipo, che potremmo definire di “democrazia protetta”: una democrazia, cioè, tenuta al riparo dalla contaminazione di quei diritti sociali, economici e civili che hanno cambiato le forme di vita delle società contemporanee, e che costituiscono la trama di una cultura antropologica post-tradizionalistica. I diritti delle donne, il femminismo, le unioni omoaffettive (come vengono definite in Brasile), la cultura del “care”, che si estende dall’accesso universale alle cure sanitarie al prendersi cura della “bisognosità” e vulnerabilità delle persone, al riassetto delle istituzioni in modo da allargare gli spazi pubblici di discussione civica e migliorare la qualità della rappresentanza, fino a una presa in carico della trasformazione ecologica dei modi di vivere, di produrre e di consumare: sono tutti temi su cui si gioca oggi quella che Gramsci chiamava la “lotta per l’egemonia”. Una parola quest’ultima che è stata utilizzata da molti relatori del convegno in un contesto in cui l’obiettivo principale era quello di preservare l’“identità nazionale” da quelle culture altre o estranee, liquidate come “minoritarie” quali “la cultura woke e del politically correct”, come se le culture nazionali fossero dei blocchi omogenei e chiusi e non, invece, delle formazioni storiche o, come ama dire Stuart Hall, “diasporiche”, ossia in continua evoluzione e reciproca ibridazione le une con le altre.

Eguaglianza e libertà

Non c’è dubbio che ogni cultura nazionale ha una sua storia peculiare, dialetticamente articolata anche in conflitti intellettuali talvolta aspri, ma essa non può essere né irrigidita in uno sterile identitarismo, né stemperata o tanto meno sostituita in un piatto globalismo. Basterà ricordare che Gramsci parlava di culture egemoni e di culture subalterne soprattutto in riferimento al ruolo che ricoprono sulla scena mondiale gli Stati nazionali, e che l’obiettivo della lotta per l’egemonia, affinché abbia un significato emancipativo non congiunturale, deve essere quello dell’“unificazione del genere umano” attorno ai valori dell’eguaglianza e della libertà.

Senza dubbio, l’identità nazionale, come scrive Francesco Giubilei in un allegato della rivista “Nazione futura” distribuito ai convegnisti, si fonda anche su “un pantheon di figure che hanno contribuito a realizzare nei secoli la tradizione nazionale”: e vengono citati Vico, Cuoco, Gioberti, Croce, Gentile, Gramsci. Ma vedere queste figure come una sequenza lineare di intellettuali collocati in un limbo di astrazioni, lontani dalle sfide del loro tempo e dalle aspre battaglie ideologiche che lo scuotevano è un’immagine oleografica, peraltro tendenziosa.

Dialogo interculturale

Croce filosofo della libertà e Gramsci teorico del comunismo critico vanno restituiti non solo a ciò che il loro pensiero e la loro azione hanno significato per l’Italia come nazione democratica e come riscatto delle classi lavoratrici (Croce quale esponente dell’antifascismo che presiede il congresso di Bari del 28 e 29 gennaio del 1944; Gramsci che lascia con i “Quaderni del carcere” una riflessione senza pari sul Risorgimento italiano e sulle trasformazioni del capitalismo), ma anche ad un orizzonte più vasto. Infatti, la questione dell’egemonia è molto più seria di ciò che pensa il presidente della Commissione Cultura della Camera, l’on. Mollicone, quando nel suo intervento ha affermato che si tratta di “scardinare le casematte del potere culturale”, intendendo con questa espressione gramsciana (“casematte”) una mera occupazione del potere da parte delle forze di governo. Oggi nell’età della globalizzazione la nostra cultura deve sempre di più aprirsi all’alterità non solo salvaguardando le sue caratteristiche peculiari, quelle dello storicismo critico che va da Vico a Machiavelli, Cuoco, Spaventa, De Sanctis, Labriola, Croce, Gramsci e Togliatti (senza trascurare altri filoni scientifici e civili della nostra cultura), ma traducendo queste caratteristiche peculiari nelle culture diverse e lontane dalla nostra. Sicché possiamo dire che il problema della cultura italiana, come di tutte le altre, non è l’identità, ma il confronto con l’alterità, e che la nazione, come amava dire Marcel Mauss, oggi più che mai è inter-nazione, dialogo interculturale con le altre nazioni.

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