L'avventura infinita dell'eroe Hemingway

L'avventura infinita dell'eroe Hemingway
di Carlo Nordio
5 Minuti di Lettura
Domenica 2 Maggio 2021, 09:56 - Ultimo aggiornamento: 3 Maggio, 09:52

Il 4 maggio 1953 Ernest Hemingway vinse il premio Pulitzer con il suo capolavoro, Il vecchio e il mare. Fu un'ironia del destino che il massimo scrittore americano del secolo scorso producesse questo gioiello quando le sue forze fisiche e mentali lo stavano lasciando. In effetti si trattò di una sorta di testamento spirituale. Narra l'ossessione di un anziano pescatore per catturare un grosso Merlin. Quando finalmente lo prende, e quasi gli si affeziona, i pescecani se lo mangiano durante il tragitto di ritorno. Vi sono molte allegorie dietro questa vicenda: la principale è l'inevitabile sconfitta dei nostri sforzi più ostinati, anche quando temporaneamente sono coronati da successo. Era la conclusione di Pascal: Per quanto sia bella la nostra commedia, il finale è sempre triste: un po' di terra sulla testa, e addio per sempre. Ma se filosofo francese era confortato dalla fede, Hemingway era rassegnato al nulla. La sua preghiera era nichilista: Nada, Nada nostro che sei nel Nada.... Il suo analgesico fu l'avventura, e soprattutto l'alcol. La prima gli procurò vari incidenti. Il secondo lo portò al disfacimento fisico e cerebrale.

LA FAMIGLIA
Era nato il 21 luglio 1899 a Oak Park, Illinois. Il padre era medico, la casa accogliente, la famiglia unita: tutte le condizioni per una tranquilla vita di provincia che il giovane abbandonò arruolandosi volontario durante il primo conflitto mondiale. Vi partecipò nel Veneto, guidando autoambulanze, fu ferito e curato da una gradevole infermiera. Da entrambe le esperienze, amore e guerra, trasse il romanzo Addio alle armi. Nel 1921 si sposò con Hadley Richardson, e si trasferì a Parigi. Furono probabilmente i suoi anni migliori, descritti in una pubblicazione postuma intitolata Festa Mobile. Protagonista è proprio l'effervescente Capitale: non quella dei quartieri alti di Balzac o dei bassifondi di Zola, e nemmeno quella di Montmartre che vent'anni prima aveva accolto e affascinato Utrillo, Toulouse Lautrec e il giovane Picasso. Era la Parigi della Rue Muffetard e di Place de la Contrescarpe, dei gioiosi mercatini e delle mansarde complici, dove il ventiduenne sposino si dedicava all'innamorata e alle corrispondenze con qualche giornale, che permettevano ai due di sopravvivere, squattrinati ma felici. Spesso, munito di carta e matita, scriveva seduto al caffè, come anni dopo avrebbe fatto, con maggior sussiego e corteo di sicofanti, nel raffinatissimo Flore, il corrucciato Jean Paul Sartre.

LA TRASGRESSIONE
Era anche la Parigi della lost generation, quella generazione perduta e sopraffatta dagli orrori della guerra e dalle delusioni della pace. Una folta schiera di giovani americani avevano costituito una colonia che ruotava attorno a Gertrude Stein e a Sylvia Beach, la titolare della libreria Shakespeare and Company che esiste ancora, quantunque privata della sua patina gloriosa. Il loro quartier generale era al carrefour Vavin, dividendosi tra i quattro caffè che ne limitavano gli angoli: il Select, la Coupole, il Dome e la Rotonde. Lì vicino Modigliani era morto da poco, logorato dalla tisi, e la sua donna, non reggendo al dolore, si era suicidata. Non si respirava il fervore ideologico che il dopoguerra successivo avrebbe infiammato Saint Germain des Prés, ma piuttosto lo scetticismo corrosivo, la trasgressione ribelle e il vizio estetizzante. Si potevano incrociare la spregiudicata Kiki, che pagava il pranzo esibendo le parti intime, il suo mentore Man Ray, espressionisti stravaganti come Chaim Soutine e reduci menomati come Blaise Cendrars.

La comunità anglosassone era la più viva e vitale, dominata da personalità come Joyce e Ezra Pound: Hemingway ne assorbì il vigore innovativo che si tradusse nel suo inconfondibile stile letterario secco, essenziale e apparentemente inaccurato. Nel suo primo libro Fiesta descrive efficacemente quella irripetibile atmosfera parigina.

LE RELAZIONI
Tuttavia la sua irrequietezza e la sete di avventura prevalsero sulla programmazione disciplinata che contrassegna quasi tutti i geni della letteratura. Hemingway alternò i safari africani con la pesca d'altura nei Caraibi, matrimoni e divorzi con relazioni effimere, rapide successioni di capolavori con intervalli di sterile apatia. Nel 37, scoppiata la guerra civile spagnola, vi cercò un ennesimo rimedio contro il logorìo della depressione. Si schierò, ovviamente tra gli antifranchisti, e ne descrisse più o meno obiettivamente le operazioni. Ma poco dopo tornò nella sua Cuba, con i suoi divertimenti, il suo oceano e i suoi liquori.

IN PRIMA LINEA
Nel giugno del 44 assistette allo sbarco in Normandia: vide da lontano la carneficina di Omaha Beach e la descrisse come se fosse stato in prima linea. In agosto gli Alleati liberarono Parigi. L'onore dell'ingresso nella capitale fu benevolmente lasciato da Eisenhower alla seconda divisone corazzata francese, peraltro tutta equipaggiata dagli americani. Hemingway vi arrivò con altri giornalisti su tre scoppiettanti automobili, andò ad abbracciare Sylva Beach e si fiondò al Ritz dove l'allegra brigata requisì due suite e, racconta Dan Frank, svuotò il bar. Successivamente il dinamico scrittore si vantò di aver contribuito alla liberazione della capitale, tra le sghignazzate dei testimoni delle sue sbronze. In seguito descrisse efficacemente l'avanzata nella foresta di Hurtgen e la battaglia delle Ardenne. Per questi suoi vividi affreschi gli fu conferita la medaglia di bronzo. Ma a differenza di D'Annunzio, che nel precedente conflitto aveva perso un occhio, Hemingway finì la guerra incolume in tutto tranne che nella cirrosi e nel diabete.

LO SCONFORTO
Fu di nuovo assalito dalla depressione, alimentata anche dalla morte degli amici; in pochi anni se n'erano andati Ford, Fitzgerald, Anderson, Joyce e infine Gertrude Stein. Questa marche funèbre accelerò la sua dipendenza dall'alcol, e minò il suo già precario organismo. Viaggiò in Italia, e a Venezia si invaghì di una diciannovenne contessa che rievocò nel romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi. La blanda accoglienza della critica stimolò le ultime energie del vecchio leone malato, che reagì scrivendo, in otto settimane, il racconto che abbiamo citato all'inizio. Nel 1954 ottenne il premio Nobel per la letteratura. L'anno prima era stato conferito a Churchill, che con lui condivideva l'amore per l'alcol, il fumo, l'eroismo e la depressione. Ma sir Winston era di ben altra tempra fisica e morale, e morì sereno nel suo letto a 90 anni. Hemingway non si recò a ritirare il premio a Stoccolma, anche se ne incassò volentieri l'assegno. Oppresso dalle malattie e avvilito dal deterioramento delle condizioni generali, ebbe la lucidità di riconoscere la sua irreversibile e rapida decadenza. Il 2 luglio del 1961 si chiuse in camera e si sparò con la sua carabina preferita.
 

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