Morto Giulio Giorello il laico, una vita tra scienza e libero pensiero

Morto Giulio Giorello il laico, una vita tra scienza e libero pensiero
di Massimo Adinolfi
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Martedì 16 Giugno 2020, 08:15 - Ultimo aggiornamento: 08:24
«Il secolo dei Lumi fu turbato da una provocante quanto disinvolta filosofa in gonnella»: quanti pensatori, in Italia, si affiderebbero a un incipit del genere? Forse più d'uno, in verità, ma uno solo poteva proseguire mettendo nella stessa pagina, insieme ai savants settecenteschi, Bertrand Russell, Claude Lévi-Strauss, Paul Feyerabend e Mickey Mouse.
Quel pensatore è stato Giulio Giorello, tra i più autorevoli filosofi della scienza italiani, scomparso ieri all'età di 75 anni per i postumi dell'infezione da coronavirus. Il libro si intitola La filosofia di Topolino (con I. Cozzaglio, Guanda) ed è molto di più di un semplice divertissement. Giorello lo pubblica nel 2013, quando ha ormai alle sue spalle decenni di attività scientifica e accademica, dai Saggi di storia della matematica (1974) a La filosofia della scienza nel XX secolo (con D. Gillies, 1994), passando per Lo spettro e il libertino. Teologia, matematica e libero pensiero (1985), forse il suo libro più bello, e Le ragioni della scienza (con L. Geymonat, 1986).
In esso, c'è molto del filosofo che ama attraversare discipline diverse, e sa mescolare la cultura pop e la riflessione filosofica, la grande letteratura e il mainstream. Ma c'è anche un ritratto del Topo di Walt Disney, che in più di un lineamento richiama la fisionomia intellettuale del suo coltissimo ammiratore: Topolino «è nato ribelle: non solo un burlador campagnolo, ma un ostinato dissenziente capace di battersi contro ogni forma di prevaricazione (...) un Topo sempre più dubbioso sul significato dell'Universo e il complicato mondo che uomini e topi hanno costruito».

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IL METODO
Il dubbio, rintracciato scherzosamente tra le strisce del fumetto, è in realtà la parola che meglio restituisce il significato della ricerca filosofica di Giulio Giorello. Allievo del grande matematico René Thom e di Ludovico Geymonat, che per primo in Italia ha tenuto un insegnamento di filosofia della scienza, Giorello aveva insegnato a Pavia e a Catania, prima di tornare a Milano, succedendo all'Università Statale sulla cattedra che era stata dal maestro. Già Presidente della Società italiana di logica e filosofia della scienza, Giorello aveva abbandonato i moduli dialettici del marxismo di Geymonat, ma aveva condiviso con lui una concezione larga della filosofia della scienza: non solo metodologia, non solo analisi logica del linguaggio, come in gran parte della filosofia analitica di stampo anglosassone, perché non basta passare il tempo a pulire le lenti degli occhiali, come amava ripetere, con Karl Popper: affinché questo lavoro epistemologico non sia inutile, bisogna anche, pulite le lenti, vedere una buona volta, vedere in concreto quali nuove strade la scienza apre al pensiero, quanta filosofia si annida tra le pieghe dei saperi, e dunque «non abbandonare mai il terreno concreto della pratica scientifica».
 
 


I TITOLI
Basta dare uno sguardo ai titoli pubblicati nella collana di Scienza e idee che Giorello dirigeva presso Cortina, per rendersi conto di quanto il filosofo milanese abbia praticato quel terreno: dalle neuroscienze alla paleontologia, dalla filosofia della matematica all'astronomia, il ventaglio delle novità proposte sotto la sua cura editoriale è amplissimo. Giorello era convinto che le scienze dovessero fecondare il dibattito pubblico delle idee, senza rinunciare al loro rigore, ma accettando la sfida della buona divulgazione. In un Paese così poco disponibile a concedere agli scienziati la patente di intellettuali, non è una piccola lezione.
Da Popper Giorello aveva raccolto anche la convinzione che vi è un rapporto stretto tra la libertà di ricerca, così come si coltiva nel quadro dell'impresa scientifica, e la libertà nell'ordinamento giuridico di una società aperta. Ed aveva svolto questo rapporto influenzato dal più irregolare dei filosofi della scienza del 900, Paul Feyerabend, di cui condivideva lo spirito libertario.
Giorello non ha mai smesso di praticare, e insegnare, il significato di una filosofia laica, antidogmatica, individualistica. In un piccolo libretto dal valore di un manifesto, Di nessuna Chiesa. La libertà del laico, apparso nel 2005, Giorello si collocava nell'eredità di John Stuart Mill «l'eccentricità è il lievito di qualsiasi società libera» per impegnarsi in una vivace polemica culturale, a difesa di un tratto caratteristico della sua formazione filosofica, il relativismo.
Nella messa pro eligendo Pontefice, tenuta nell'aprile di quell'anno, l'allora cardinale Ratzinger (eletto papa il giorno successivo) si era scagliato contro «la dittatura del relativismo». Giorello ne citava le parole, insieme a quelle dell'allora presidente del Senato, Marcello Pera, per il quale relativismo non significava tolleranza, bensì cedimento, arrendevolezza, resa, e da questa resa faceva discendere «l'umor nero dell'Occidente».

RELATIVISMO
Giorello, affidava la risposta, garbata e lievemente ironica, all'amato Feyerabend: il relativismo è anzitutto un fatto, e di fatto «nessuna pratica umana è unificata e perfetta, e poche sono quelle completamente ripugnanti». Difficile trovare un modo più leggero e più affilato per affrancarsi da ogni pretesa di infallibilità, di possesso assoluto della verità.
La vena antidogmatica non andò mai disgiunta da una viva curiosità per la teologia e la religione. Tolleranza fino all'irriverenza non voleva dire, per Giorello, disprezzo delle credenze altrui. La sua capacità di dialogare a tutto campo lo portò ad accettare l'invito del teologo Bruno Forte a contribuire al suo libro, Trinità per atei, insieme a Massimo Cacciari e Vincenzo Vitiello. E neanche lì, nel fitto del più impenetrabile dei misteri della dottrina cristiana, Giorello rinunciava alla libera spregiudicatezza della sua intelligenza.

 
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