Sean Connery morto, quando svelò i segreti di 007: «Solo i Beatles stressati come me, ma erano in 4»

Sean Connery morto, quando rivelò i segreti di 007: «Solo i Beatles stressati come me, ma erano in 4»
Sean Connery morto, quando rivelò i segreti di 007: «Solo i Beatles stressati come me, ma erano in 4»
di Leonardo Jattarelli
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Lunedì 17 Agosto 2020, 12:51 - Ultimo aggiornamento: 31 Ottobre, 16:32

Ian Fleming - «Mi avevano chiesto di fare dei provini per convincere Ian Fleming che potevo essere il James Bond perfetto. Mi rifiutai: che mi prendessero omeno, non volevo fare provini. Alla fine ho avuto un incontro con lui è ho ottenuto la parte. Ci siamo capiti subito. Fleming era uno snob terribile ma con molto spirito. Nel personaggio di Bond c’era qualcosa di lui o piuttosto quello che immaginava di sè...All’inizio voleva qualcuno come Cary Grant, ma con i soldi che avevano, una volta pagato Cary Grant non avrebbero più potuto girare il film...

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Il migliore 007 - «Ho amato su tutti Dalla Russia con amore».

Le Bond Girl - «Grazie a James Bond ho conosciuto e abbracciato donne bellissime: penso ad Ursula Andress, la mia partner più “glamour”, a Kim Basinger...Eppure, la mia donna e attrice preferita è stata Katharine Hepburn perché in una donna io cerco il fascino e il pudore».


Il successo - «Francamente non so spiegarmi perché James Bond abbia avuto tanto successo. Forse perché i film di Bond sono arrivati al momento giusto. Licenza di uccidere rislae ai primi Anni Sessanta, anni pieni di cambiamenti politici, di “messaggi”, di razionalità imperante, di nevrosi. Con quel film, il pubblico improvvisamente si trovò catapultato in un mondo che non conosceva: casinò, night-club, Giamaica, donne bellissime, armi segrete, uomini potentissimi. E sopra tutti, lui, James Bond, un avventuriero di razza che si diverte, che ha stile e sa tirarsi fuori dalle situazioni più difficili col sorriso sulle labbra. Non credo che l’agente 007 fosse, come qualcuno scrisse, un personaggio da “guerra fredda”. Probabilmente era l’eroe giusto per quegli anni».


Il mio inferno - «Non si può spiegare quali siano le pressioni, i condizionamenti a cui si è sottoposti quando si interpreta un personaggio del genere. Ero sommerso dalla stampa, inseguito ovunque. La gente mi entrava in camera, mi telefonava ad ogni ora del giorno, si sedeva al mio tavolo da pranzo. Credo che solo i Beatles abbiano vissuto un’esperienza simile alla mia: loro, però, erano in quattro. Io ero disperatamente solo». 

L’abbandono - «Ho definitivamente abbandonato James Bond. E’ una decisione che risale ai tempi di Una cascata di diamanti, quando mi resi conto che gli effetti speciali stavano diventando molto più importanti del fattore umano.

Effetti farseschi. Capii che il cinema stava andando in una certa direzione: quello che lo avrebbe fatto arrivare ai vari Rocky e Rambo, ad un gusto fumettistico, infantile, fuorviante. Il grande cinema, oggi, esiste ancora. Ma sopravvive in mezzo ad una miriade di cretinate. E ho capito che anche James Bond si stava pericolosamente dirigendo verso quel mondo di fumetti stupidi e senza umanità».

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