Maya Sansa, protagonista di "Security": «La mia sicurezza? Gli affetti e il rispetto. Io non alzo muri»

Maya Sansa, protagonista di "Security": «La mia sicurezza? Gli affetti e il rispetto. Io non alzo muri»
Maya Sansa, protagonista di "Security": «La mia sicurezza? Gli affetti e il rispetto. Io non alzo muri»
di Michela Greco
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 9 Giugno 2021, 07:20 - Ultimo aggiornamento: 09:20

Il contesto è una cittadina balneare d'inverno (Forte dei Marmi), tutta ville lussuose e telecamere di sorveglianza. Una perfetta messinscena del benessere in cui però, a guardare bene, “il buio divora la luce e la paura ci assale”. I personaggi sono Roberto, tecnico degli impianti di sicurezza (Marco D'Amore) che vigila sui clienti più facoltosi, sua moglie Claudia (Maya Sansa), candidata sindaco per la destra, la loro figlia adolescente e molto arrabbiata (Ludovica Martino), un ricco imprenditore (Fabrizio Bentivoglio), una ragazza fragile (Beatrice Grannò) e suo padre alcolizzato (Tommaso Ragno).

È il thriller Security, diretto da Peter Chelsom, basato sul romanzo omonimo di Stephen Amidon e arrivato su Sky Cinema e Now lunedì scorso. Arrivata a circa 40 film (più alcuni corti e serie tv) in 20 anni di carriera, Maya Sansa qui indossa compostezza e rispettabilità per nascondere l'angoscia che la travolge. Predica contro gli “indesiderabili” e gli “invasori” mentre promette “un paese più sicuro”.

Si è ispirata a qualcuno in particolare per la sua donna politica di destra?

I riferimenti ci sono, ma vaghi. Direi che si tratta piuttosto di un cocktail tra varie persone che ho visto sul web. Non mi interessava ritrarre una persona in particolare, soprattutto se conosciuta, perché il mio personaggio agisce in una dimensione più piccola, in una provincia microscopica.

Claudia sembra lontanissima da Maya.

Amo le donne con zone d'ombra importanti. Lei è diametralmente opposta a me dal punto di vista filosofico e politico: io ho poche paure nei confronti dell'altro, sono cresciuta in un contesto in cui si coltivavano l'apertura e la curiosità. È una donna forte e sensibile che vorrebbe fare del bene ma, come si dice, l'inferno è lastricato di buone intenzioni.

È anche una mamma spaventata, in questo l'ha sentita vicina?

Su scala minore tutte le mamme hanno un po' di Claudia in loro. Tutte noi madri abbiamo un istinto che ci porta verso l'iperprotettività, ma il lavoro del genitore invece è proprio quello di lasciare liberi i figli, capire chi sono, ascoltarli, accompagnarli e censurarsi nel momento in cui la protettività diventa una forma di controllo.

Nel film si parla anche di molestie sessuali, un tema complesso e delicato...
La situazione generale è inquietante, si tende spesso a sminuire i problemi, quasi sempre a discapito delle vittime e in particolare delle donne.

Il film è interessante perché parla anche del fenomeno opposto, dell'innocente accusato ingiustamente: per un delirio di angosce e sensi di colpa si crea un grande fraintendimento e una persona diventa il capro espiatorio di un'intera comunità.

Il film si intitola Security, per lei cos'è la sicurezza?

Nel film è intesa come l'alzare i muri e proiettare colpe all'esterno. Per me è l'opposto: sono gli affetti, la possibilità di conoscere e rispettare l'altro, l'incontro.

Quanto si è sentita insicura nei periodi più duri della pandemia?

Io ho vissuto il lockdown in Francia, dove vivo con mia figlia e il mio compagno. Nel primo periodo si è scatenata una piccola isteria, quasi una guerra tra appestati. C'è stato un momento in cui i bambini italiani a scuola, anche se non erano stati da poco in Italia, come mia figlia, erano guardati con sospetto. Non è stato bello, ahimè gli italiani avevano appena fatto lo stesso con i cinesi. Per il resto ho vissuto il confinamento con una certa serenità e curiosità, facevo delle lunghe passeggiate in una Parigi deserta, incontrando gli amici da un marciapiede all'altro. Una cosa poetica, particolare.

Le viene mai voglia di tornare definitivamente in Italia?

Ci penso ogni tanto, ma sto bene in questi due mondi, faccio spesso su e giù, viaggio molto. A volte mi viene una grande nostalgia, ma so che accade perché idealizzo l'Italia da lontano.

La conversazione telefonica si interrompe per un attimo quando l'attrice risponde a una domanda della figlia Talitha, un po' in italiano e un po' in francese.

Parlate più lingue in casa...

Ne parliamo tre: italiano, inglese e francese. Il mio compagno è franco-irlandese, io italiana ma di padre iraniano e con studi fatti in Inghilterra: la multiculturalità e il bilinguismo ci piacciono e ci sembrava normale coinvolgerla. Talitha parla francese a scuola e con il padre, io le parlo prettamente in italiano e può guardare i film solo in inglese, una lingua che le piace molto perché è collegata a una dimensione giocosa.

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