Lunetta Savino, eterna madre fra teatro, cinema e tv: «Sogno un ruolo da single senza figli»

Lunetta Savino, eterna madre fra teatro, cinema e tv: «Sogno un ruolo da single senza figli»
Lunetta Savino, eterna madre fra teatro, cinema e tv: «Sogno un ruolo da single senza figli»
di Totò Rizzo
5 Minuti di Lettura
Martedì 21 Giugno 2022, 08:58 - Ultimo aggiornamento: 15:14

Lunetta Savino si gode qualche giorno di relax nella sua campagna pugliese, tra Castellana e Monopoli, con suo padre centenario che non vede l’ora arrivi l’estate per stare qui un paio di mesi e suo figlio che, armi e bagagli, è tornato dall’Inghilterra e ha deciso di vivere nella terra degli avi. «Adesso sono più tranquilla per lui – fa mamma Lunetta –: l’ultimo periodo, tra Brexit e lockdown, è stato un po’ complicato». Non lontano da questa casa ha appena finito di girare la seconda serie di “Lolita Lobosco” con Luisa Ranieri (il prossimo autunno su Rai1), sabato sarà a Salina, nelle Eolie, al Marefestival, a ritirare il Premio Massimo Troisi.

Contenta di questo riconoscimento?

«Mi fa un enorme piacere. Troisi era un artista che amavo, intelligente, acuto nel pensiero, colto e popolare al tempo stesso, grande talento. Ricordo quando uscì “Ricomincio da tre”: ero in un cinema di Milano, ridevo come una pazza, capii che era una comicità nuova pur con radici nella tradizione. E ogni volta che lo rivedo mi sorprendo di dettagli di cui non mi ero accorta prima».

Ha conosciuto Troisi?

«Lo incontrai per chiedergli di scrivere l’introduzione al mio libro sul teatro di Peppino De Filippo. Accettò volentieri. In quel momento era sul set di “Capitan Fracassa” di Scola, faceva Pulcinella. Mi confidò che per quel ruolo si era ispirato proprio a Peppino attore».

 

Una barese e un napoletano: comicità nelle vene.

«È una questione di geni.

Mi piace anche la comicità del Nord, ma è più fredda, surreale. La nostra è più sanguigna, più alla Totò e Peppino per l’appunto».

Un’attitudine che le è servita anche sul lavoro?

«Certo. Non sa quante volte con Banfi, sul set di “Un medico in famiglia” abbiamo improvvisato, giocando a passarci la palla, sempre nel rispetto della pagina scritta per la scena, ovviamente, ma ci divertivamo mettendoci alla prova l’un l’altra».

Non è solo istinto far ridere.

«No, la comicità è spartito musicale, è matematica. I famosi tempi comici. Ho fatto scuola quando recitavo in compagnia con Luigi De Filippo, figlio di Peppino. Ho imparato anche a capire l’istante in cui si spegne l’eco di una risata o di un applauso a scena aperta per riprendere con la battuta successiva».

Tornerà in palcoscenico la prossima stagione?

«Sì, con un testo che mi intriga molto, “La madre” di Florian Zeller che arriva per la prima volta in Italia, in Francia lo ha fatto Isabelle Huppert. È la storia di una donna trascurata dal marito, il cui figlio, con cui ha un rapporto simbiotico, parte: e lei, non più moglie né madre, soffre della sindrome del nido vuoto. Bel copione, bel personaggio. Debuttiamo a marzo, a Roma, al Quirino».

In un’enciclopedia dello spettacolo si potrebbe scrivere di lei “specializzata in ruoli di madre”.

«A dirle la verità mi ero un po’ stufata, poi mi sono rassegnata. E comunque penso che ogni madre che ho recitato sia sempre stata diversa dall’altra, da quella dello scienziato tetraplegico Fulvio Frisone a Felicia Impastato, dalla soffocante Stefania di “Mine vaganti” all’apparentemente anaffettiva Marina di “Studio Battaglia”. Fino alla Medea di due anni fa al teatro greco di Siracusa. Certo, ogni tanto sogno un bel ruolo da single senza figli».

Lanciamo un appello ai registi. Magari per un suo ritorno al cinema.

«Ma sono proprio i registi che spesso non vogliono osare, anche gli sceneggiatori non pensano quasi mai a ruoli adatti alla mia età, non inventano storie per un’attrice delle mie corde che sono drammatiche e comiche insieme. Nel mio temperamento lacrime e riso convivono, un po' come in un clown. La giusta misura la devo ad Alessandra Galante Garrone, mia insegnante di teatro».

La ragazza Lunetta aveva un piano B o voleva solo fare l’attrice?

«Ho mantenuto la promessa fatta a mia madre, mi sono laureata al Dams, avrei sempre potuto insegnare. Ma non ho mai preso in considerazione l’ipotesi. Però gli studi mi sono serviti, altro che: anche ad arrivare preparata ad un provino davanti a un regista».

Deve dire grazie a…

«A me stessa, alla mia tenacia. Poi, è chiaro, ci sono stati gli incontri fortunati: Ozpetek, Cristina Comencini, Leo Muscato per il teatro…».

Un’ultima domanda, bislacca: che ne è stato di Cettina da Mondragone, la tata di casa Martini?

(ride) «Sarebbe divertente saperlo. Chissà se i personaggi continuano a vivere in un tempo e in un spazio immaginari… L’abbiamo lasciata che partiva per l’America: chissà, magari adesso negli States sarà un’imprenditrice ma sempre con quel sano senso pratico provinciale. Sa che nei piccoli centri ancora mi fermano “come” Cettina e gli brillano gli occhi? D’altronde, dopo cinque serie di “Un medico il famiglia” è una creatura talmente entrata nel lessico familiare... Qualche donna mi ha confessato di far premura al marito o ai figli dicendo “dai, su, veloce veloce…” proprio come diceva Cettina».

Cettina a parte, come vive la popolarità Lunetta?

«Bene, è sempre piacevole, noi attori ci nutriamo di questa testimonianza d’affetto. E poi è un modo per stabilire un contatto, anche fisico: in un mondo abituato a guardarsi e a parlarsi ormai quasi sempre attraverso uno schermo mi sembra perfino un privilegio».  

© RIPRODUZIONE RISERVATA