Finlandia, «Così abbiamo deciso di rischiare la vita per recuperare i cadaveri dei nostri amici intrappolati nella grotta»

Vesa Rantonen, Patrick Gronqvist e Sami Paakkarinen - Foto di Jarkko Virtanen/Monami Agency
Vesa Rantonen, Patrick Gronqvist e Sami Paakkarinen - Foto di Jarkko Virtanen/Monami Agency
di Paolo Ricci Bitti
8 Minuti di Lettura
Venerdì 26 Agosto 2016, 01:49 - Ultimo aggiornamento: 24 Gennaio, 11:50

«Guardavo Jari negli occhi mentre stava affogando e non potevo fare nulla per salvarlo» racconta Patrick Gronqvist.

Otto anni fa, laggiù a meno 135 metri in quella grotta invasa dall’acqua e dal fango nel nord della Norvegia, Patrick e i suoi due amici avevano a stento salvato la pelle dopo aver visto morire nel modo più atroce i loro due compagni di immersione. Poi però hanno voluto rischiare di nuovo la vita per recuperare le salme e dare un po’ di sollievo ai familiari impietriti dal lutto. Ai familiari e a loro stessi.


(Vesa Rantonen, Patrick Gronqvist e Sami Paakkarinen - Foto di Jarkko Virtanen/Monami Agency) 


E’ una storia di dolore e di coraggio quella che ha segnato per sempre  un gruppo di amici speleosub finlandesi impegnato in un’escursione nelle viscere della terra. Un'escursione dall'esito letale, come capitò poi nel 2016 a  tre italiani morti nelle grotte di Palinuro. Un terribile incidente con sovrumane difficoltà per il recupero delle salme come è avvenuto anche sulla costa del Cilento.

E’ anche una storia di paura, quella più profonda che solo a volte affiora dentro di noi, e di lotta contro tutto e tutti, compresi sé stessi, per ritrovare la redenzione e la voglia di vivere. 

E', soprattutto, una storia di speranza come quella che si è conclusa con il salvataggio del gruppo di ragazzini in Thailandia.

A raccontarla è il film-documentario “Diving into the Unknown” (Immersioni nel mondo sconosciuto) del regista Juan Reina la cui uscita nella penisola scandinava ha di nuovo travolto i cuori delle nazioni che nel febbraio del 2014 vennero segnate da quella maledetta spedizione nelle grotte della Plurdalen Valley, un budello di poco meno di due chilometri a una profondità di 135 metri sotto le pendici dei monti Plura. Un cunicolo in gran parte allagato da acqua gelida e limacciosa tanto che per raggiungere uno dei due ingressi, quello più a valle, bisogna spaccare lastroni ghiacciati.




Che cosa spinga gli speleosub a infilarsi in quell’inferno affrontando ogni volta fortissimi rischi non è possibile spiegarlo. Ed è anche inutile chiederselo. Però in Finlandia ci sono gli speleosub tra i più bravi del mondo.

Il capo delle missione era Patrick Gronqvist, 42 anni, pompiere. Con lui l’esperto Kai Kankanen, 46, manager; Jari Uusimaki, 34, ingegnere; meccanico; Jari Houtarinen, 40 anni, dirigente d’azienda e Vesa Rantonen, 33 anni, manager.

Il primo a immergersi, con la spessa muta e trainato da un piccolo acquascooter e l’attrezzature che a volte fanno “stud” urtando con rumore sordo sulle rocce, è Gronqvist. Due anni prima faceva parte del gruppo che inviduò dopo anni di ricerche il collegamento fra l’ingresso a valle e quello a monte (Steinugleflaget) dalla grotta. Dietro di lui Jari Houtarinen.

Paolo Ricci Bitti

Più staccati gli altri tre, anche per permettere ai sedimenti fangosi di depositarsi dopo il loro passaggio. La prima parte del tragitto è orizzontale, pochi i tratti con bolle d’aria. Poi il precipizio che toglie il fiato: come infilarsi e scendere nei sotterranei dentro la tromba dell’ascensore allagata e buia per 45 piani.

“Dopo un’ora – dice Gronqvist – ho sentito il bip bip dell’autorespiratore di Jari. Brutto segno. L’ho raggiunto e ho capito subito che si metteva malissimo. Si era incastrato in una strettoia sul punto più basso del sifone”.

Il nemico più crudele degli speleosub è dentro di loro, è il panico.

“Ho cercato di aiutarlo a sfilarsi rimuovendo parte della sua attrezzatura, ma non è stato possibile. Intanto Jari mi guardava disperato e respirava sempre più affannosamente anche dalla bombola di emergenza. Poi non è più riuscito a trattenere il boccaglio ed è morto”.

Gronqvist, un pompiere dalle spalle larghe, aveva giù visto persone morire, ma quella dell’amico, così, davanti a lui impotente, l’ha subito rimossa dalla memoria. Troppo dolore.

A quel punto, con il cunicolo dietro di lui bloccato dal cadavere, non gli restava che tentare di raggiungere l’ingresso superiore, come risalire per 45 piani la tromba dell’ascensore buia e allegata. Nessuna possibilità di avvertire gli amici e in più il suo computer da polso indicava sei ore di attesa per la decompressione dovute a quella sosta imprevista in profondità: “Ho pensato che anche gli altri tre miei compagni sarebbero morti e che sarei dovuto andare a trovare le famiglie, una a una”.

Il primo a raggiungere la strettoia mortale è Vesa Rantonen. “Mi sono trovato il passaggio sbarrato: ho cercato di non pensare che quell’ostacolo era la salma del mio amico e ho iniziato a tirarlo fuori, ho calcolato che tornare indietro sarebbe stato ancora più rischioso”. Un ragionamento banale, piano, lucido, cinico, senza che il cuore accelerasse i battiti: esperienza e istinto di sopravvivenza.

Ragionamento però sbagliato per Kai Kankanen: per lui sarebbe stato meglio ritornare all’ingresso a valle. Il problema che evitò ogni discussione tra i due divenne Jari Uusimaki, in mezzo fra i compagni. E’ stato preso dalla paura e ha iniziato a respirare affannosamente.

“Ho cercato di aiutarlo, di tranquillizzarlo, ma dopo pochi minuti mi è morto davanti”, ha raccontato Kankanen.

Lui e Rantonen hanno anche detto a Tom Parfitt del Times, in occasione della presentazione del docu-film al festival di Edinburgo, che non hanno ricordi coerenti di quell’incubo a meno 135 metri, nelle tenebre bucate a malapena dalla torce. Entrambi hanno spiegato che a tenerli in vita, mentre il primo raggiungeva con inimmaginabili difficoltà l’ingresso superiore e il secondo quello a valle, è stato il pensiero di non causare dolore alle loro famiglie. Inimmaginabili difficoltà? Kankanen ha impiegato 11 ore per riguadagnare l’ingresso, con gli ultimi 30 minuti nuotati senza l’aiuto dell’acquascooter ormai scarico. Undici ore là sotto, con il gelo nell’anima e sulla pelle. E quando è arrivato all’entrata a valle ha dovuto spaccare con la bombola la crosta di ghiacchio che si era riformata.

Fuori ha trovato Gronqvist e Rantanan che nel frattempo erano scesi dall’ingresso superiore camminando fra le neve sulle pendici della montagna. I tre superstiti poco dopo venivano ricoverati in una camera iperbarica. Inutile dare l’allarme: per i loro due amici laggiù nella grotta non c’era che da pregare.

Se ci fosse l’intervallo fra il primo e il secondo tempo del film sarebbe a questo momento della storia. Ma non c’è alcuna interruzione nello strazio dei tre amici sopravvissuti mentre parlavano con le vedove e i figli dei due Jari.

La polizia norvegese, pur senza aprire inchieste che non avrebbero portato da alcuna parte, aveva intanto proibito l’accesso alla grotta. Una sola eccezione per tre speleosub britannici, considerati i più esperti in Europa, che cercarono inutilmente di recuperare i cadaveri. Macché: troppo difficile, troppo rischioso, assurdo sprecare altre vite per quei cadaveri già seppelliti sotto la roccia. Da quel momento divieto assoluto di entrare nella grotta, già troppe le lacrime mischiate a quell’acqua limacciosa.

“Ma qualcosa per i familiari dei nostri amici dovevamo inventarci. E anche per noi” dice ancora Gronqvist che segretamente chiamò a raccolta la comunità degli speleosub finlandesi fra i quali il veterano Saami Paakkarinen.

La missione di recupero doveva essere allestita con la massima discrezione e altrettanta attenzione, ognuno dei partecipanti era conscio del rischio di restare per sempre là sotto. Recuperare due salme a meno 135 metri in un cunicolo così stretto e buio rappresentava un’impresa senza precedenti. E per alcune difficoltà non vi erano apparenti soluzioni. Un medico li mise poi in guardia: avrebbero potuto trovare i cadaveri estremamente irrigiditi, impossibile, quindi accostare le braccia al corpo. E allora per fare uscire le salme dal cunicolo non sarebbe restato che spezzare ossa e tagliare…

A meno di due mesi dalla tragedia, un gruppo di 17 speleosub finlandesi è di nuovo all’ingresso a monte. Si sono mossi di notte e a piccoli gruppi per non farsi notare con tutta quell’attrezzatura. Gronqvist avverte gli amici: “Guando arriverete dai cadaveri non guardateli in visto”.

Rantanen, ancora non pienamento rimesso, coordina le operazioni lungamente studiate a tavolino. Kankanen all’ultimo momento non se la sente di tornare laggiù. Vanno Gronqvist e Paakkarinen. Sanno di avere 15 minuti per non rischiare di dover restare lunghe ore nel cunicoli per affrontare la decompressione aumentando il rischio di nuovi incidenti.

“Ci sentivamo molto calmi” dice ancora Gronqvist. La salma di Houtarinen viene presto portata in superficie con l’aiuto di un acquascooter. Tutto bene? Non ancora, la grotta non era ancora soddisfatta. Il giorno seguente Paakkarinen sta liberando da bombole e giubbotto il cadavere di Jari Uusimaki quando il corpo gli schizza via dalle mani. La salma era diventata assai “positiva”, come se si liberasse dai pesi un pallone tenuto sott’acqua. Quel corpo volato verso il tetto della grotta fa cadere dalla volta un masso grande come un tavolo.

“Ho fatto appena in tempo a farmi di lato, in quel buio, in quegli spazii. Quel pietrone mi ha sfiorato una spalla, per un amen non sono restato schiacciato là sotto” racconta Paakkarinen.

Quando entrambe le salme sono al sicuro, gli speleosub hanno avvisato la polizia norvegese autodenunciandosi. Le autorità hanno deciso nuovamente di non aprire alcuna inchiesta per quel divieto violato.

I finlandesi, ancora sotto choc per la tragedia di due mesi prima, hanno subito considerato eroi gli speleosub del gruppo di recupero. Il presidente Niinisto ha decorato Gronqvist con la più alta onorificenza civile: l’Ordine della Rosa bianca della Finlandia.

“Ma l’abbiamo fatto per le famiglie dei nostri amici scomparsi - hanno detto gli speleosub – Quando abbiamo riportato loro le salme, le mogli e i figli hanno avuto un po’ di sollievo. Tutti abbiamo ritrovato un po’ di speranza, tutti abbiamo messo in pratica che cosa voglia dire l’amicizia: nessuno va mai dimenticato”.

Gronqvist ha sempre detto di non sentirsi un eroe e continua a fare immersioni nelle grotte. Da solo.
 

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA