L'amico scrittore Angelucci: «Fellini ha inventato una nuova visione di arte visiva e di libertà civile»

L'amico scrittore Angelucci: «Fellini ha inventato una nuova visione di arte visiva e di libertà civile»
di Michela Greco
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Giovedì 16 Gennaio 2020, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 08:48

«Questo centenario è un appuntamento fondamentale per l'Italia intera, che ha l'occasione di ritrovare l'armonia intorno a un autore importante. Federico Fellini non ha solo inventato una nuova visione del cinema, ma ha contribuito alla libertà civile delle persone. Non era un autore che guardava al suo ombelico, ha dato una testimonianza completa della sua epoca». Con l'affetto dell'amico e il rispetto dello studioso, Gianfranco Angelucci, scrittore e giornalista che ha co-sceneggiato Intervista - e che ha pubblicato libri e creato film, spettacoli e programmi tv sull'opera del regista a cui è stato vicino per oltre 20 anni - celebra il centenario della nascita del maestro con Glossario Felliniano – 50 voci per raccontare Federico Fellini il genio italiano del cinema, in libreria dal 30 gennaio con Avagliano Editore.

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Con che spirito ha scritto questo Glossario?
«Dopo tanti libri sul suo cinema ho voluto creare uno strumento agile. Tutti pensano di conoscere bene Fellini, ma in realtà pochi si sono interessati a lui in modo meno superficiale. Io lo racconto in capitoli, 50 voci che spaziano dal cinema, alle donne, ai collaboratori, alla sua poetica, una per ogni settimana dell'anno. Penso di aver dato una lettura sincera e limpida di Fellini, in cui trovano posto magnificenze e contraddizioni».

Quale delle voci considera più sorprendente?
«Delle 50 forse la penultima, sull'illusionismo: l'arte ha bisogno della finzione e, alla fine, la finzione contiene la verità. In Amarcord Fellini ci mostra il Rex che naviga su un finto mare fatto di teli di plastica. Anche se è frutto di un inganno, la finzione produce un'emozione vera e così sconfina nella magia».

Qual è il momento che ha passato con Fellini a cui è più legato?
«Tra i tanti, il primo incontro a Roma al Grand Hotel Plaza, che già conteneva un'aura di magia con quel leone alla base della scalinata. Fellini era imponente e poteva incutere timore ma si rivelò subito dolcissimo. A me, ragazzo che incontrava per la prima volta, disse subito "resta a pranzo con me, si mangia bene, fanno i cappelletti in brodo". E io, che mi stavo laureando su di lui, gli chiesi perché in quegli anni, il '68 e '69 in cui il mondo era in fiamme, lui si rifugiava in un soggetto del passato con Satyricon. Mi disse "ognuno fa ciò che sa fare. Se tutti facessero ciò che sanno fare il meglio possibile non avremmo più problemi"».

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