11 settembre, il film più intenso: “La 25ª ora” di Spike Lee con Edward Norton

11 settembre, il film più intenso: “La 25ª ora” di Spike Lee con Edward Norton
di Francesco Alò
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Sabato 11 Settembre 2021, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 12:55

E' una delle prove più belle di Edward Norton, ha un monologo allo specchio degno di Taxi Driver (1976), contiene le scene in discoteca più intense di sempre (perché il volume fu alzato a palla come nella realtà) eppure La 25ª ora (2002), ignorato agli Oscar, oggi ci sembra un capolavoro soprattutto per come incarnò la tragedia dell'11 settembre.

Flashback: quando il libro di David Benioff esce in libreria a inizio 2001, l'attore Tobey Maguire vuole essere subito il protagonista della sua versione cinematografica. Il protagonista sembra un ruolo da Oscar: spacciatore ha 24 ore per visitare vecchi amici, parenti e un amore importante prima del suo ingresso in prigione per scontare 7 anni di galera. E se scappasse? E se tra tutti quegli incontri ci fosse il “giuda” che l'ha venduto alla polizia? Maguire è convinto ma poi viene scritturato per il nuovo Spider-Man.

Entra in scena Spike Lee, stanco in quegli anni di essere associato solo al cinema black. Quell'antieroe è un maschio caucasico bianco, infilato dentro un film che di nero ha essenzialmente solo il genere di appartenenza. Quando la produzione è nel pieno del lavoro (Edward Norton sostituisce Maguire), crollano le due Torri del World Trade Center cambiando per sempre la faccia e l'anima di New York.

Lee, in contrasto con i produttori della Disney, decide di inserire la tragedia fin dai titoli di testa quando vediamo immediatamente Ground Zero, l'immenso cratere vuoto dove un tempo svettavano i due grattacieli.

Poi La 25ª ora mostra i manifesti delle vittime e degli scomparsi mentre Monty Brogan (Norton) vaga per una metropoli in cui è palpabile un senso di disorientamento e continuano a vedersi placche e memoriali dedicati ai caduti.

Ogni personaggio (anche il compianto Philip Seymour Hoffman, Barry Pepper e una giovanissima Rosario Dawson nel cast) è diffidente, impaurito e nervoso. Ma ciò che forse impressiona ancora di più del film di Spike Lee, fedele al testo letterario e copione firmati da Benioff, è come all'epoca si puntasse e sperasse su una visione idilliaca dell'America dell'Ovest con un'idea del Texas come luogo di sicurezza e protezione rispetto a quella New York così pericolosamente affacciata sul mondo. Un'America dell'entroterra che poi sarebbe diventata il nucleo centrale dell'avanzata politica di Donald Trump.

Anche di questo parla lo splendido film di Lee, quando lo shock dell'11 settembre entra nelle inquadrature e nello spirito di un cult movie esaltando la paranoia da 2001 della East Coast e anticipando l'isolazionismo delle terre del West, di fatto profetizzando una spaccatura con New York all'epoca impensabile.
 

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