Ciak, il paese di Pavese: Salento, luna e falò, Valenti riscrive l'opera in un film

Ciak, il paese di Pavese: Salento, luna e falò, Valenti riscrive l'opera in un film
di Claudia PRESICCE
5 Minuti di Lettura
Domenica 14 Ottobre 2018, 21:07 - Ultimo aggiornamento: 21:32

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti, spiega Cesare Pavese in La luna e i falò. Mai come in questo momento storico è attuale un romanzo che racconta il senso del distacco dalla propria terra e poi il ritorno a casa. Può diventare una prospettiva emblematica nella narrazione contemporanea delle migrazioni, per imparare a guardare questi viaggi anche da dietro: dallo strappo con ciò che rimane fermo a casa ad aspettarti.

Riparlare oggi del romanzo di Pavese per farne un film è l'idea di un produttore inglese che ha chiamato lo sceneggiatore leccese Alessandro Valenti per l'adattamento cinematografico. «Sì, per il produttore inglese Rex Glensy stiamo scrivendo La luna e i falò, insieme a Leonardo Guerra Seragnoli che sarà anche il regista spiega Valenti dopo il nostro adattamento per Gli indifferenti, Rex ha pensato di fare un film da La luna e i falò che è uno dei libri italiani più letti nei college inglesi e americani. Quando ci siamo incontrati a Londra Rex mi ha stupito dicendo che è il libro giusto per un business: gli ho chiesto se ne fosse sicuro e mi ha spiegato che pensa ad una grande produzione per il mercato anglo-americano dove l'interesse per questo libro è altissimo, cosa per noi inaspettata».

Intanto per Gli indifferenti com'è andata?
«Per Indiana film, casa di produzione di Milano, sempre con Leonardo Guerra Seragnoli, abbiamo scritto l'adattamento cinematografico, ambientandolo ai giorni nostri, rispettando la struttura del libro, ma modificando personaggi, dialoghi e anche il finale. È un'operazione secondo me interessante di rispetto da un lato e di innovazione radicale dall'altro del romanzo di Moravia, ne sono orgoglioso. A maggio inizieranno le riprese per finire in agosto».

La prima differenza tra lavorare con una produzione italiana e una inglese?
«La prima è che appena consegni il lavoro loro ti pagano subito. Quando poi ci hanno ospitato a Londra con Leonardo per parlare delle nostre idee, ogni innovazione al testo da noi proposta è stata accolta con entusiasmo. Rex infatti ha chiesto la nostra interpretazione personale del libro, cosa secondo me fondamentale in un adattamento simile. È necessario rubare l'anima ad un libro e restituire alla fine la propria visione. In questo gli inglesi sono molto più propensi a rischiare rispetto a noi: dicono che non si entra nel business di un processo creativo con la paranoia di sbagliare con idee troppo ardite».

Spieghiamole, le vostre idee.
«Raccontiamo la storia di Anguilla che, dopo aver vagato per il mondo, torna nel suo paese natìo e, in quel momento, tutti i simboli infantili sepolti nella sua coscienza si attivano e diventano fonte di poesia. Il tema ruota intorno alla storia di un ritorno in Italia di un uomo che trova la sua fortuna economica negli Stati Uniti (nel film le scene americane saranno girate in Puglia; ndr), ma non riesce a essere felice. Dovrà tornare nel paesino sperduto dove è nato per ritrovare il suo immaginario infantile che gli manca, per riappropriarsi della sua dimensione umana. Questo processo fa pensare alla solitudine di chi è costretto ad emigrare per motivi economici, anche ai tanti italiani lontani per lavoro da casa che custodiscono dentro di sé il proprio paesaggio interiore, ovunque siano ogni giorno. È una bellissima descrizione dello sradicamento: siamo abituati ad analizzare il punto di vista economico, politico, ma Pavese racconta lo sradicamento interiore. Mi è sembrato un modo modernissimo per raccontare la tragedia dell'emigrazione che vive l'essere umano da qualunque luogo provenga».

Ognuno è portatore di una storia, lo dimentichiamo guardando solo dalla nostra parte: questo è un tema caro al suo lavoro oggi.
«Sì, penso sia sbagliato costruire muri sull'acqua, perché possiamo crescere solo dopo l'incontro con l'altro per il quale noi stessi siamo stranieri. Per educarci a capire che dietro ogni persona c'è un essere umano è fondamentale oggi una narrazione dell'emigrazione, la cultura può molto. Dietro un italiano che sta in America o un senegalese che sta a Lecce c'è sempre un uomo che cerca una vita migliore alla quale ha diritto, come tutti noi. L'Europa, mi chiedo, è tutto qui quello che riesce a fare? Noi come esseri umani siamo capaci solo di parlare di paura del diverso, o vogliamo provare a cogliere la ricchezza dell'incontro tra due popoli?».

Si è mossa in questa direzione anche la sua direzione artistica della scorsa Città del libro di Campi.
«Il progetto era questo, ma purtroppo per motivi tecnici non si è potuto realizzare. Ho immaginato di fare di Campi il luogo europeo di confronto con la grande letteratura africana, un ponte in cui guardare lo stato dei nostri rapporti, il luogo di inizio di una piccola rivoluzione partita dal Salento, per creare, come sognavamo con Tahar Ben Jelloun e Alessandro Leogrande, un centro della letteratura mediterranea. In un momento in cui l'Africa viene considerata luogo del sottosviluppo volevamo dimostrare quanto è fervida la loro cultura, la letteratura, la musica. Abbiamo lavorato a budget zero, sarebbe un peccato che questo progetto non si realizzasse, va trovato il modo di farlo».

La Puglia ombelico della letteratura euro-mediterranea: quali suoi progetti seguono questa direzione?
«L'Italia ha un problema di conoscenza di sé, non sa raccontarsi, non esiste una vera narrazione ad esempio del rapporto con i mari in cui è immersa. Un Paese per crescere deve conoscersi bene, conoscere la storia e la geografia: solo così la nostra politica capirebbe che non si può prescindere da un rapporto con il Nord Africa. Le politiche culturali devono dare una direzione, non sostituirsi agli impresari, ma costruire ponti. Come? Ad esempio il Festival del cinema francese che organizziamo nel Salento con Angelo Laudisa non è altro che un ponte con la prima industria cinematografica europea. Ora stiamo cercando di costruire insieme a Frederique Dumas, vice presidente della commissione Affari Culturali dell'Assemblea nazionale francese, un fondo comune, con le regioni a nord della Francia e con l'Apulia film commission, per portare progetti cinematografici e televisivi in Puglia. Poi con la direttrice del Sundance Festival americano abbiamo pensato un partenariato con i nostri festival, che sarebbe una rivoluzione economica. Bisognerebbe capire che per Lecce e il Salento la cultura è la vera industria su cui investire».

Domanda d'obbligo: con Edoardo Winspeare con cui ha sempre lavorato ci sono novità in cantiere?
«Con Edoardo e Francesca Marciano stiamo scrivendo un film sulla storia di una donna anziana e del suo percorso verso la morte che regala felicità: originale, dolce e con una grande interprete internazionale».

 

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