Cccp, il film “Kissing Gorbaciov” e i ricordi del Salento. Ferretti e Zamboni: «Niente concerti, ma ci ritroveremo»

Cccp, il film “Kissing Gorbaciov” e i ricordi del Salento. Ferretti e Zamboni: «Niente concerti, ma ci ritroveremo»
di Vincenzo MARUCCIO
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Venerdì 11 Novembre 2022, 07:21 - Ultimo aggiornamento: 12 Novembre, 14:35

«Arrivammo a Melpignano che non avevamo la minima idea di che posto fosse. Venivamo da Reggio Emilia e c'era questa terra che voleva realizzare qualcosa di grande. Lo scambio fu sorprendente, inatteso, unico»: parla lentamente dall'altro capo del telefono Giovanni Lindo Ferretti, voce e volte dei Cccp che più di 30 anni fa cambiarono l'orizzonte della scena musicale alternativa italiana: quasi mille chilometri di distanza dalla sua casa "eremo" di Cerreto Alpi sull'Appenino tosco-emiliano, ma è come se stesse qui davanti. «Andammo tutti insieme a Mosca poco prima della caduta del Muro ed era il tour che avevamo sempre sognato. Senza Melpignano, forse, non ce l'avremmo fatta»: dalle casa tra i boschi, qualche decina di chilometri più a valle, riavvolge il nastro Massimo Zamboni, chitarrista e anima musicale del gruppo punk che mai nessuno si sognerebbe di imitare.

C'è stato un tempo in cui il Salento era solo un accidente della geografia. Un mare democristiano dove il welfare di ospedali, scuole e pensioni, sia pur tra mille contraddizioni, aveva restituito dignità a un popolo di contadini e di operai emigrati. Giusto qualche tedesco nei campeggi del Capo di Leuca, i concerti sporadici dei cantautori nei teatri cittadini e le sagre estive riservate solo agli amici dei paesi vicini. Zero copertine patinate, nessun buen retiro per le star, solo masserie diroccate dopo la fuga dalle campagne. Poi, alla fine degli anni Ottanta, da Reggio Emilia arrivò una strana band chiamata Cccp Fedeli alla Linea che cantava Osare l'impossibile e niente fu più come prima: a Melpignano, 3mila anime tra ex braccianti e treni per la Svizzera e un monocolore Pci con falce e martello (altro che civiche), scoppiò la scintilla.

Prima i concerti rock nel polveroso stadio tra i muretti a secco, location perfetta per Sergio Leone anche se la terra promessa era l'Unione Sovietica della glasnost di Michail Gorbaciov. Poi, la sana follia di un festival aperto alle band sovietiche seguito dal mini tour dei gruppi italiani a Mosca e Leningrado. Cestinato dalla Commissione Ue di Bruxelles e dall'Associazione Italia-Urss, il progetto fu sposato direttamente dal Cremlino tramite l'ambasciata a Roma. «Il presidente Gorbaciov è felice di finanziare il festival»: così recitò un funzionario dell'Urss quando Antonio Avantaggiato, sindaco illuminato dell'epoca, e il giovane Sergio Blasi, collaboratore per gli eventi culturali, si presentarono nel 1988 a Roma per il placet ufficiale. Per questa terra cominciava a crollare il muro della subalternità a tutto e a tutti: qualcosa di originale poteva nascere anche sotto l'Ofanto.

 

Oltre la cortina di ferro

Di là, oltre la cortina di ferro, un altro Muro cominciava a sgretolarsi: se le rockband semiclandestine venivano in Occidente, era evidente che il leninismo blindato aveva i mesi contati. La rassegna Idi di Marzo si sdoppiò in due annualità: l'estate del 1988 a Melpignano con le band sovietiche e la primavera successiva a Mosca e Leningrado con i Cccp, i Litfiba di Piero Pelù e i meno conosciuti Rats e Mista & Missis. L'album di aneddoti e piccoli segreti custoditi nei cassetti dei sentimenti è riemerso negli ultimi mesi con le riprese di Kissing Gorbaciov, il docufilm firmato in tandem dai registi Andrea Paco Mariani e Luigi D'Alife che di quel biennio ricostruisce (senza nostalgia) genesi, sviluppo e fine con gli storici componenti dei Cccp nel ruolo di protagonisti-narratori davanti alle telecamere: Giovanni Lindo Ferretti alla voce, Massimo Zamboni alla chitarra, Annarella Giudici benemerita soubrette e Danilo Fatur artista del popolo.

Progetto in fieri che vedremo sullo schermo nel 2023. Occasione storica per rivedere insieme i Cccp dopo tre decenni di reciproca distanza e che a Melpignano sono diventati adulti, morti e rinati sotto varie spoglie. Poche foto e video d'epoca (niente telefonini, Instagram e selfie), tante emozioni, molti silenzi. Ferretti fa un'eccezione e parla dal suo eremo di Cerreto Alpi, nel profondo Appennino tra Modena e le montagne toscane: «Reincontrarsi dopo 33 anni è stato stupefacente, come una cellula dormiente che si rimette pericolosamente in azione.

Come se fossimo entrati in coma per tanto tempo e ci fossimo risvegliati improvvisamente. Come rivedersi al mattino dopo esserci salutati la sera prima e, invece, di tempo ne è passato davvero tanto».

Da Reggio Emilia, la provincia più rossa dell'Impero Americano come si diceva in quel periodo, alla capitale dell'Urss: l'azzardo più grande. «Il mini tour in Urss - aggiunge Ferretti - è stato il punto più alto della nostra storia e avevo sempre pensato che non ci saremmo sciolti prima di suonare a Mosca. L'immagine più forte di quel tour è Annarella che, come una matrioska, si spoglia dei vestiti scendendo la scalinata della Piazza Rossa. Per i Cccp era l'epilogo, continuare non avrebbe più avuto senso». Zamboni è al telefono, dalla sua casa tra i boschi emiliani, e rimette insieme i fotogrammi: «Ci siamo ritrovati in buona forma e in buona compagnia. Rivedere quegli anni è stato bello, non li abbiamo mai dimenticati». Parole a specchio, senza saperlo, con il suo compagno di strada: «Suonare in Unione Sovietica, in quel momento storico, è stata un'esperienza unica, era difficile immaginare di poter fare qualcosa di più. Non c'era un segreto. Semplicemente ci raccontavamo nutrendoci di storia contemporanea con le antenne riceventi ben dritte. Dal Muro di Berlino a piazza Tienanmen, tanti fallimenti e disastri con cui fare i conti. Le Idi di Marzo ne furono la sintesi e il compimento. Dopo, nel bene e nel male, sarebbe stata un'altra storia».

«Dalla povertà alla guerra il passo è breve»

Oggi, da quelle parti, la storia è guerra e distruzione. Con la musica e l'arte forse troppo timorose di raccontarla: il terreno, come nel Donbass quando piove e fa freddo, è scivoloso e le canzoni se ne tengono lontane. «Li conosco quei territori - dice Ferretti - ho tanti amici e sono molto legato alla Chiesa ortodossa pur essendo un cattolico. Ero molto preoccupato prima che i russi entrassero in Ucraina, ora non credo a niente. Quando comincia una guerra il resto è solo propaganda. Solo brutta propaganda. In Russia come nel mondo occidentale in cui, voglio dirlo, non tutti oggi si riconoscono nonostante il racconto mediatico prevalente». Caduto il Muro e sciolti i Cccp, restano fucili e missili.

Zamboni riavvolge il nastro: «Quando nella primavera 1989 suonammo a Mosca c'erano già i segni della dissoluzione dell'Impero sovietico: molti poveri, la gente che per strada vendeva di tutto per raccattare un po' di rubli. Quello che abbiamo visto lì era l'inizio di quello che poi sarebbe diventato lo sfacelo di oggi. Dalla povertà alle guerre il passo è breve». Passato, presente e futuro intrecciati e il pensiero che va sempre lì: i fans (perché tali sono) vorrebbero rivedere i Cccp sul palco a salmodiare rime punk: Emilia paranoica, Spara Jurij, Rozzemilia, Manifesto e il più originale repertorio che la scena alternativa italiana abbia mai prodotto. Zamboni sorride alla domanda postagli già un milione di volte: «Non immaginavo che ci saremmo rivisti, tutti e quattro, per un film. Ci siamo riconosciuti ed è già una grande cosa, ma con Ferretti non abbiamo mai parlato di reunion. Non acceleriamo solo per fare clamore e lasciamo che le cose accadano. Certo, se un giorno i Cccp dovessero tornare su un palco sarebbe meraviglioso farlo da Melpignano che per noi è un vero luogo del sentimento». Lo specchio, questa volta, funziona meno.

No alla reunion

Ferretti tira il freno e mette subito i paletti. «Non c'è nessuna possibilità che ci sia una reunion - dice - e non siamo una band di rock'n'roll di sessantenni con i giubbotti di pelle che si rimette insieme per fare soldi. Fatur è fisicamete l'esatto opposto di un tempo e le performance di Annarella, la cosa più forte mai vista su un palco in Italia, non sono riproponibili. Zamboni porta nei suoi live le canzoni dei Cccp e ciascuno di noi può farlo individualmente, ma tornare tutti insieme è impossibile. I Cccp sono stati avanguardia artistica e le avanguardie non si replicano. È una storia di bella giovinezza e lasciamo che tale rimanga». Porte chiuse, ma non si sa mai. Tutto ciò che deve accadere accade, diceva un pezzo di qualche anno dopo.

Di certo, accadde a Melpignano e fu un piccolo miracolo. Con le Idi di Marzo arrivarono qui le migliori firme del giornalismo musicale italiano, gli inviati dei mensili specializzati e le grandi televisioni per capire com'era possibile tutto questo che neanche a Milano o a Bologna si era mai visto. I semi ben piantati nello stesso terreno da cui, dieci anni dopo, sarebbe germogliata la Notte della Taranta poi diventata il più grande festival europeo di musica popolare: i germogli che, alle soglie del terzo millennio, sarebbero diventati frutti. Dal punk all'etnomusic, strano legame, ma il filo rosso (è il caso di dirlo) dello spirito collettivo dell'impresa-utopia avrebbe messo salde radici: dai 100 degli inizi ai 100mila del piazzale di sua maestà la pizzica.

Sergio Blasi, già sindaco di Melpignano prima di diventare consigliere regionale e papà dell'evento Taranta, era uno degli ideatori-animatori e se lo ricorda bene: «Nasceva tutto dal basso e c'era il coinvolgimento dei ragazzi con l'orgoglio di un intero paese: finalmente i tg nazionali raccontavano il territorio per la cultura e non più per la Sacra Corona Unita. Eravamo un'anomalia positiva e l'Italia guardava a noi». Una rivoluzione, forse meglio di quella d'Ottobre. Blasi ricorda e guarda oltre l'orizzonte: «C'era l'ambizione di osare come cantavano i Cccp. Non più il Sud piagnone di sempre, come quello che, purtroppo, abbiamo ricominciato a vedere in Puglia negli ultimi anni. Idee e lavoro, non ci sono altri segreti».

Mai fermarsi davanti all'impossibile: la lezione di Melpignano. «Fu una bellissima esperienza di squadra - dice Zamboni - e un piccolo mondo che pensava insieme, i musicisti, l'Arci, le associazioni. Il miracolo di Melpignano è l'intelligenza e la lungimiranza di amministratori che ci facevano sentire cittadini del mondo. Certe volte sono le piccole realtà che riconoscono, per prime, i cambiamenti del mondo». Ferretti ne è arcisicuro e lo specchio torna a riflettere la stessa immagine: «Le grandi cose accadono spesso in provincia, non nelle grandi città. A Melpignano c'era Blasi capace di mettere insieme giovani e anziani intorno a una grande idea e questa è sempre stata la vera forza. Arrivammo a Melpignano che non avevamo la minima idea di che posto fosse: venivamo da Reggio Emilia e c'era questa terra che voleva realizzare qualcosa di grande e si creò un contatto vero con la gente, probabilmente non replicabile altrove». Forse il Salento è nato da una cresta punk colorata di rosso. Forse, davvero, non c'è bisogno di una reunion: da qui, in fondo, i Cccp non se ne sono mai andati.

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