Aspettando Sanremo, Al Bano si confessa: «Da Romina a Zelensky, vi racconto i miei Festival»

Aspettando Sanremo, Al Bano si confessa: «Da Romina a Zelensky, vi racconto i miei Festival»
di Vincenzo MARUCCIO
8 Minuti di Lettura
Domenica 5 Febbraio 2023, 18:46 - Ultimo aggiornamento: 6 Febbraio, 22:40

Quindici volte sul palco e non sentirle: Al Bano da Cellino San Marco, nel cuore del Salento, torna al Festival da superospite con Gianni Morandi e Massimo Ranieri. Mercoledì sera (seconda serata) l'esibizione all'Ariston, un sogno che si avvera. «Ma ne ho ancora tanti da realizzare», mette in chiaro il cantante pugliese. «Ci vado con lo stesso spirito che avevo da ragazzo, faremo un medley con i pezzi più celebri - dice - Sanremo lo davano per defunto e, invece, ora lo seguono anche i giovani. Il Festival è l'Italia, non lo cambierei con nient'altro al mondo. Me lo sento addosso da sempre».


Al Bano, qual è la prima immagine che le viene in mente?
«Correva il 1952, avevo 9 anni, ero alle colonie a Cisternino, a pochi chilometri da casa. Una specie di villaggio estivo per ragazzi che ospitava chi non poteva permettersi la villeggiatura. Fischiettavo Vola colomba di Nilla Pizzi vincitrice del Festival. Il ritornello mi era rimasto dentro».


Sanremo lo guardava in casa in tv?
«Magari, ad averla la tv. A Cellino c'erano solo due televisori: uno nella sezione della Democrazia Cristiana e l'altro nel circolo del Partito Comunista. Si andava lì, indipendentemente dagli ideali politici. Il secondo flash della memoria risale al 1958 quando vinse Mimmo Modugno con Volare. Fu una rivoluzione e per noi del Sud fu doppia. Siamo tutti figli di Modugno, mai dimenticarlo».


Debuttò a Sanremo nel 1968...
«No, l'esordio fu nel 1965 alla manifestazione Ribalta a Sanremo. Una specie di Sanremo Giovani».


E come andò?
«Vivevo a Milano dove lavoravo con il Clan Celentano. Ci andai con il mio amico Detto Mariano, arrangiatore straordinario, e il viaggio fu un pellegrinaggio verso il tempio della musica italiana. All'ingresso delle prove c'era un signore barbuto con un cappellaccio, che suonava e chiedeva le offerte come fanno i giovani artisti. Era Lucio Dalla. Era già un provocatore. Non gli parlai, ma fu un incontro incredibile e non lo scorderò mai. La mia prima gara arriva nel 1968 con il brano La Siepe».


Un successo?
«Macché. L'anno precedente, con Nel Sole, avevo vinto l'impossibile tra le varie rassegne canore e a Sanremo ci arrivai da favorito.

Gli italiani mi bocciarono, mi fermai al nono posto e vinse Sergio Endrigo con Canzone per te. Una grande delusione, ma anche una lezione: stare in alto, in testa alle classifiche, non vuol dire rimanerci per sempre. Non bisogna mai montarsi la testa. Accettai tutte le offerte, anche dall'estero. Dischi e tour, un anno dopo l'altro».


Nel 1982 a Sanremo, in coppia con Romina Power, portò Felicità. Non fu un rischio tanta spensieratezza?
«Era la canzone che ci voleva. Stavamo uscendo dall'incubo della violenza gratuita del terrorismo, delle Br, delle varie Lotte Continue. Tutte cose che l'Italia non meritava. Capii subito che avremmo fatto centro. Felicità era ciò che gli italiani desideravano dopo tanto sangue, un augurio al Paese e non solo un pezzo sanremese. Continua a essere molto richiesta, spesso colonna sonora di film francesi, spagnoli, argentini».


Due anni dopo la vittoria con Ci sarà, sempre con Romina. Cosa ricorda?
«Si votava con le cartoline del Totip, per noi ne arrivarono a milioni, enorme la distanza con gli altri. Me lo lasci dire, fu un plebiscito. Piovevano fiori sul palco, è bellissimo rivedere quelle immagini in tv».


Nel 1989 portaste al Festival Cara Terra mia, un inno ambientalista in cui cantavate di buco dell'ozono e di effetto serra. Come le venne in mente?
«Ho sempre cambiato, non c'è da meravigliarsi. Ho sempre sposato le mie idee, in quel caso la lotta all'inquinamento. Se la ricorda Notte a Cerano pubblicata due anni prima? Cantavo il veleno dei potenti e l'inquinamento in nome del progresso. C'era già tutto, la riascolti: le polveri nel mare, il fungo di cemento della centrale di Brindisi. Cara Terra mia era la prosecuzione con un po' di ironia sanremese».


Però, l'ambientalismo non ha vinto. Perché?
«Manca una buona educazione civile e bisognerebbe insegnare già ai bambini dalla prima elementare che nasciamo da una seconda madre che si chiama Terra. Ci fa vivere, ci dà nutrimento e ci fa godere delle cose più belle. E l'essere umano, l'unico diavolo, compie l'oltraggio. Giro per la Puglia e vedo questi insopportabili ammassi di rifiuti. Paghiamo le tasse e, invece, cresce l'immondizia che è specchio di ignoranza e superficialità. Bisogna avere il coraggio di dirlo».


Nel 1996 di coraggio ne ebbe così tanto che, dopo la separazione da Romina, portò al Festival È la mia vita, la sua canzone più autobiografica con un velato riferimento alla perdita di sua figlia Ylenia. Ma un lutto così grande si può elaborare?
«Te ne devi fare una ragione e bisogna essere pratici. La vita è il giorno e la notte, è inevitabile. Devi allenare il cervello alla convivenza con gioie e grandi dolori che arrivano all'improvviso. Serve esercizio mentale perché la vita un'imprevedibile girandola».


Dove trova la forza?
«Penso alla Croce e alla più verista delle religioni che è il cristianesimo. Penso ai due legni che s'incontrano: il verticale rappresenta la vita e viene dal basso, l'orizzontale è la morte. Cristo che rischia la vita diventa la mia forza spirituale. La fede è la barca su cui tutti viaggiamo e che ci salva. Io ci credo e lo racconto a tutti. Sono i dolori che ci rafforzano, me lo hanno insegnato sin da piccolo».


Chi?
«Mio padre. Mi ha insegnato il senso del sacrificio, anche fisico, quando il mangiare, a quei tempi, era una cuccagna quando arrivava. Papà ci raccontava della Seconda guerra mondiale e della sua prigionia in Germania. Forse così ha seminato, mi piace dire così, il senso della competizione che non vuol dire prevaricazione».


Come sono cambiati i rapporti con il suo paese e con i conterranei?
«Un pizzico di invidia fa parte di questo mondo, ma c'è anche genuina ammirazione. Sono l'Al Bano famoso, ma anche lo stesso ex contadino ed ex studente che torna a Cellino e parla con tutti senza sentirsi una celebrità. Cellino fa stare con i piedi per terra».


A questo territorio e alla Puglia lei ha dato tanto: notorietà, concerti, iniziative benefiche, perfino lo sponsor della squadra di basket. Ma cos'è che non le piace?
«Un certo individualismo. Ci vorrebbe più coesione, soprattutto da quelli che stanno al potere, dai politici. Penso al mio paese che ha avuto tanta visibilità: meriterebbe di più e dovrebbe fare di più. Ed è così anche per la Puglia, per il Sud».


I giovani ce la faranno?
«Lo spero, ma non bersagliamoli. Molto dipende da quelli che stanno in alto. Ai giovani serve più educazione ai valori e alle priorità della vita. C'è buona volontà, serve anche una dose di sana follia».


A lei non è mai mancata. Come per la reunion con Romina dopo decenni di carriere separate: cos'è scattato?
«Nulla di pianificato. Dovevo festeggiare a Mosca i miei 70 anni con un grande evento e, oltre a tanti ospiti italiani, al mio manager venne l'idea di invitare anche Romina. Ero sicuro che non avrebbe mai accettato».


E invece?
«Disse sì, con mia grande sorpresa. Prese un aereo da Los Angeles e, arrivata a Mosca, facemmo le prove: mi chiese di abbassare le tonalità e, come può immaginare, per me fu un grande sacrificio. Fu un successo. Poi arrivarono tante richieste da tutto il mondo e al pubblico non si può dire di no. Siamo tornati anche a Sanremo come ospiti. Nacque tutto per caso, da quelle tre serate a Mosca».


Con l'Est lei ha sempre avuto un rapporto speciale. Perché?
«Sanremo era uno dei pochi programmi occidentali trasmessi nell'ex Unione Sovietica. Io, ma anche Toto Cutugno, Pupo, i Ricchi e Poveri, eravamo conosciutissimi. Lì i miei concerti erano sempre un evento, anche quando l'Urss diventò Russia».


Su Putin, però, ha cambiato idea...
«Come si fa a non cambiare idea dopo la violenza messa in atto contro i fratelli dell'Ucraina. Come si fa a non cambiare idea davanti a questa macchina da guerra che costringe i bambini a fuggire dalle loro case».


Ora al Festival arriva Zelensky con un video nell'ultima serata: la convince?
«L'ho detto in questi giorni. Se serve alla causa della pace, ben venga Zelensky. A Sanremo c'è stato già Gorbaciov che mi pare abbia contribuito a cambiare la storia. Ripenso sempre a come il Festival sia sempre stato un faro per i popoli dell'Est e, chissà, potrebbe esserlo ancora».


Ma allora non è solo musica leggera?
«Assolutamente no. Se lo ricorda Pippo Baudo che invitò sul palco dell'Ariston gli operai dell'Italsider di Genova che rischiavano di perdere il posto di lavoro? Sanremo non è solo canzonette».


Cosa dobbiamo aspettarci dal Trio con Morandi e Ranieri?
«Canzoni bellissime. Era un mio vecchio pallino, ma Morandi aveva sempre detto no temendo di essere schiacciato dalla mia voce e da quella di Ranieri. E, invece, è stato lui a rilanciare l'idea. Non vedo l'ora».


Di cantare all'Ariston?
«E anche di fare qualche concerto con Morandi e Ranieri. Ciascuno ha i suoi tour, ma vedremo come conciliare. Fosse per me comincerei subito».


Nel frattempo, a maggio compirà 80 anni. Che regalo si farà?
«Una grande festa che voglio svelare qui: il 18 maggio registreremo un concerto speciale all'Arena di Verona che poi andrà in tv. Ci saranno tanti ospiti. Romina? Vedremo, nulla è escluso».


Al Bano, il segreto dei suoi 80 anni lo conosciamo: sacrificio e duro lavoro. Ma qual è il segreto della sua longevità musicale?
«Mi alzo la mattina con la testa ricca di note e vado a letto cantando. I trabocchetti della vita sono tanti, finora li ho evitati. Tanti si perdono nella droga, nei vizi, nei soldi. Bisogna stare al mondo con equilibro per non cadere. Il segreto della longevità è la passione per la musica di cui sono invaso, in ogni momento. La musica è la miglior medicina».
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