Elodie, Bersani, Mengoni e Stromae: la Taranta abbraccia il mondo

Elodie, Bersani, Mengoni e Stromae: la Taranta abbraccia il mondo
di Alessandra LUPO
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Domenica 28 Agosto 2022, 11:55 - Ultimo aggiornamento: 30 Agosto, 16:03

Non c'è un altro modo per dirlo anche a rischio che qualcuno si offenda: dopo anni di difficoltà e smarrimento dovuti al Covid e all'ingerenza della televisione sui tempi del Concertone, la Taranta è tornata grande. Dal primo all'ultimo secondo lo spettacolo firmato da quel genio di Dardust non lascia il tempo di rifiatare. La pizzica diventa la base di un gigantesco rave party dove tutto il pubblico respira al medesimo ritmo, fatto di percussioni di ogni tipo, pianoforti, sintetizzatori, bassi, addirittura un teremin. Ma anche mandolini, violini, tamburelli. Uno spettacolo, questa volta sì, liberatorio. A cominciare dalla scenografia potente e curatissima.

 

Gli ospiti sul palco


Sul palco sfilano uno dopo l'altro gli ospiti, riportati finalmente al ruolo di testimoni di un grande rito, come negli anni d'oro delle star internazionali.

Samuele Bersani si lancia in un classico come Lu rusciu te lu mare e poi regala al pubblico la sua canzone più cult Chicco e spillo. Consuelo Alfieri canta come un'eroina mitologica. La voce di Alessandra Caiulo esplode in Aremu, accompagnata dall'arpa di Kety Fusco, e zittisce anche gli animali notturni nelle campagne grike a chilometri di distanza. Il corpo di ballo coordinato da Irma di Paola, è sensuale, contemporaneo, convincente. Tutti sono chiamati a mettersi in gioco in questa Taranta che non cede ad alcuna liturgia predefinita. Non si autocita, non scimmiotta.

Mengoni, Elodie, Bersani e Stromae 


Elodie spunta tra la folla portata a braccio sotto palco. La sua interpretazione della pizzica è così verace e graffiante che la hit eseguita subito dopo, tra le poche concessioni al pop per un concerto decisamente rock, è quasi superflua. Con la sua pettinatura da puzzola, nera e platino, e lo sguardo assorto di chi vede prendere forma al suo sogno, Dardust è un tutt'uno con il palco e con l'orchestra. Un tutt'uno col suono e con le coreografie, che spaziano dal vernacolo al burlesque toccando picchi di meraviglia nelle danze minimali in bianco e nero. Una dopo l'altra le voci di Antonio Amato come un padre arcaico, la vocalità a tratti multipla di Giancarlo Paglialunga, la grazia di Salvatore Galeanda riportano al neorealismo dei canti d'amore. Di povertà, di terra che chiama. I tamburi aprono all'ingresso di Stromae. La sua celeberrima Allors on danse, inno alla ribellione umana di fronte alla società repressiva, viene raggiunta in corsa dalla tradizionale Menamenamo. Nella cucitura del concerto si legge un divertimento genuino. Poco dopo ci pensa Madame, in blue elettrico con occhiali a specchio da vera rock star, a riportare avanti le lancette. Il gioco di rimandi è serrato e ininterrotto, a partire dagli imponenti videowall di Galattico in stile Flying circus che suggestionano con immagini, frammenti, paesaggi, maschere assemblate con l'antropologo del design Mauro Bubbico.
Tra le immagini anche quella di Pierpaolo Pasolini, a cui è dedicato il Concertone, che resta a fissare il pubblico durante l'intero brano di Enza Pagliara, Il canto del Gargano tratto proprio dal canzoniere italiano del poeta. Inutile dire che l'Orchestra popolare residente, guidata da Gianluca Longo, è oggi più che mai l'orgoglio di un esperimento riuscito: voci e musica nella loro purezza solenne sono un reset totale nella scorpacciata sonora. L'assolo di Carlo Canaglia fa il resto. Poi la musica riparte. La pizzica si riprende l'intera scena, un riscatto delle origini. Nel violino di Giuseppe Astore, a occhi chiusi sul palco, sembrano riecheggiare i lamenti delle tarantate. Ma il Concertone non ha paura di esplorare anche le atmosfere esotiche trasformando la piazza in una dance floor poi in un veglione, in una festa di paese con tanto di banda che scoppietta dal palco come un brass band al quarto giro di vodka.
Il pubblico è piacevolmente sorpreso a ogni passaggio. Anche quando arriva Studio Murena nel suo rap pizzicato, Un anno un mese e un giorno. Dardust ha voluto coinvolgere la Taranta anche nell'esperienza con il rapper Massimo Pericolo di cui ha recentemente musicato la vibrante Il signore del bosco.


L'acqua de la funtana porta tutti sul palco. Inizia un'altra festa. L'arrangiamento è essenziale. La presenza di Marco Mengoni sul palco toglie la fatica nei piedi e nelle gambe, il pubblico applaude mentre canta in griko ed è come se non avesse mai fatto altro. Poi parte la sua Ma stasera. L'inserto pop è come una parentesi in un discorso che non fa una piega. Anche il pubblico stavolta lo sa.
L'orchestra rappa sui mandolini. Stefania Morciano vocalizza sicura a una velocità irraggiungibile. Elodie torna sul palco per il coro Larilò Larilò Lallero. Perfetta. Lei e Mengoni sembrano una coppia nella ronda di San Rocco. Kalinifta viene mixata con Hey Boy Hey Girl, hit senza tempo dei Chemical Brothers. Chi la riconosce si guarda attorno incredulo. Eppure, tutto regge. Il pubblico è stremato e felice. La Taranta è tornata grande. Enorme. Il gran finale con Kalinifta manda tutti a casa felici.
La domanda è: al di là della bravura assoluta di tutti, come ha fatto un pianista e produttore marchigiano a entrare con tanta naturalezza nelle pieghe della Taranta, cogliendo la sua tradizione, il suo folclore e la sua affamata versatilità? Una risposta potrebbe essere nell'umiltà con cui questo artista pop, dai tanti impegni e successi, ha deciso di rinchiudersi già otto mesi prima in sala prove per studiare febbrilmente con l'Orchestra. Con un coinvolgimento e una complicità che non si vedevano dai tempi di Ambrogio Sparagna. Un bel risultato che restituisce al festival la sua dimensione di pubblico e festa, ricerca e memoria. La televisione verrà dopo e non potrà che consacrare il tutto.
 

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