Dal Tac alla meccanica, qualità arma vincente

Dal Tac alla meccanica, qualità arma vincente
di Pierpaolo SPADA
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Mercoledì 20 Maggio 2020, 13:15
La lesione è profonda e ricomporla, sullo scacchiere internazionale, non sarà semplice. Soprattutto se il peso già impresso sull'economia pugliese dall'ostinato virus dovesse esser gravato da quello - non slegato dal primo - dell'abbandono, sia esso di matrice industriale o, molto più semplicemente, migratoria. E già, perché se, come ha detto il premier Conte sabato sera in conferenza stampa, «dobbiamo iniziare a lavorare per creare in Italia le stesse condizioni agevoli che inducono le multinazionali a portare le proprie sedi fiscali altrove», in un certo senso vuol dire che il rischio si è rafforzato. Questione di opportunità, appunto. Tutte da (ri)costruire o quasi, perché, in fondo - dove quelli consolidati non traballano -, nuovi possibili scenari emergono, promettendo slancio all'architettura della speranza.

Per Arcelor Mittal, la crisi da Covid alimenta una voglia di fuga solida come l'acciaio e rigonfia il fiume della disoccupazione (fermi 6mila degli 8.200 dipendenti). Ma la cassa integrazione, in veste ordinaria (Cigo), ha già coinvolto 30mila imprese pugliesi. Dopo due mesi, Inps ha definito 20.368 pratiche (il 93%) e pagato 64.375 lavoratori: 9.073 nel Tarantino, 16mila nel Leccese e 4.873 nel Brindisino. Ammortizzatore per la grande industria. Per la piccola, si è proceduto in deroga (Cigd), con numeri impietosi: le istanze trasmesse dalle aziende sin dal 4 aprile sono 31.510 (soprattutto da commercio e servizi) ma solo 16.714 dei 125mila lavoratori che dovrebbero beneficiarne sono stati, fin qui, pagati.

Spenta nel suo momento clou (+4% la produzione a gennaio), l'industria manifatturiera prova a rialzarsi, dopo l'anteprima di aprile. Dal 4 si è riaccesa in blocco o quasi. A Lecce, Cnh Industrial ha riaperto, infatti, l'altro ieri (a 300 dei 600 dipendenti). Nota stonata ma, forse, solo in apparenza, perché cela la, pur timida, risposta del mercato che si attendeva: 100 nuove macchine da produrre, una commessa provvidenziale che ha consentito alla società del gruppo Exor di anticipare la riapertura prevista il 3 giugno. E ora pure l'indotto spera. Come nell'abbigliamento e nel calzaturiero, oasi contoterziste al servizio dei big fashion brand. È in queste fabbriche del Salento che la crisi da Covid fece il suo ufficiale esordio nel Paese. Quotidiano ne documentava l'emersione già a metà febbraio, quando imprenditori in panico chiamavano i sindacati per firmare le prime richieste di cassa per Covid: la causale che, molte settimane dopo, sarebbe stata istituzionalizzata per la collettività.

Nel lusso, le realtà più stabili (LeoShoes, Barbetta, Gda, Gianel Shoes, Italian Fashion Team) stanno già riprovando a correre, con commesse esclusive acquisite in precedenza, che parlano di lusso. Qualità diffusa. L'apporto che l'industria pugliese offre ai marchi più importanti del mondo è esclusivo da diversi anni, nella moda come nell'arredo e nell'automotive: da Gucci a Ferrari. La riapertura delle attività commerciali ha riattivato (?) la domanda di autentico made in Italy. E, contrario a chi per fine anno prevede catastrofi e masse di licenziamenti (se non saranno più vietati), c'è chi ipotizza un rimbalzo da urlo. Certo, serviranno nuovi canali per accomodare la spinta - invocata all'unisono prima della pandemia - che anche dalla Cina potrebbe venire. E l'integrazione del porto di Taranto nella Nuova via della Seta volgerebbe, comunque la si voglia pensare, in tal senso. Oggi l'idea si riaffaccia con forza restituendo margini di prospettiva all'industria post-Covid pugliese e meridionale. «Nessuna svendita. Approdo prospiciente al canale di Suez oltre che fulcro centrale sia della Zes interregionale Jonica che della Zona Franca Doganale appena istituita», lo definisce la Regione.
Sarà. Un'altra opportunità cui metter le ali. Anche a beneficio dell'aerospazio.

La sfida si sta facendo più ardua del prevedibile. Perché il mercato statunitense - che con Boeing alimenta le performance di Leonardo (3.500 dipendenti tra Foggia, Taranto, Brindisi, Grottaglie e Galatina), Avio (che serve anche Airbus a Brindisi, dove, tra l'altro, fremono i colossi del packaging) e rispettivi indotti (anche nella Ricerca) - è in grande affanno. «E noi siamo in preoccupata attesa», ammette il segretario della Fiom di Puglia, Giuseppe Romano. «L'emergenza ha congelato i programmi d'investimento, Leonardo stava per metterci 28 milioni in Puglia», sospira Leo Caroli, responsabile della task force regionale per l'occupazione. «Ma vediamo, chissà». Nuovo respiro si attende dal processo di de-carbonizzazione della centrale Enel di Cerano. Sostenibilità ambientale ma anche sociale: la via, come si dice, è obbligata.
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