Tradizioni e innovazione, il futuro è qui

Tradizioni e innovazione, il futuro è qui
di Alessandra LUPO
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Giovedì 19 Marzo 2020, 08:39 - Ultimo aggiornamento: 17:26
Una memoria lontana, poggiata sulla stratificazione della storia e dei saperi antichi e lo sguardo fisso sul futuro. Si potrebbe riassumere così l'essenza della pugliesità nelle sue numerose declinazioni e sfaccettature: ancoraggio e slancio. Specificità e rigenerazione. Identità e curiosità. E ovviamente tradizione e innovazione. Un mantra quest'ultimo che a partire dagli anni 90 ha caratterizzato molta della riscoperta culturale della regione, tra pizzica e tarantismo, riti pasquali e luminarie. Ma non solo: oggi più che mai sappiamo che la Puglia ha dentro di sé molte anime, compreso un cuore tecnologico fortemente all'avanguardia, un sistema cinematografico sempre più convincente e varie punte di diamante nella ricerca, tutto ciò raccolto in un territorio ricco, affascinante, fragile e resistente al tempo stesso.
Al di là della retorica sulle tante ma isolate eccellenze, insomma, esiste un tessuto vitale ed esteso in grado di connettere gli angoli più remoti di questa terra tra i due mari con il resto del mondo. Dal glocal degli anni 2000 a una globalità nuova, accessibile a tutti, resa quasi inevitabile dalla pervasività dei social media.

Un percorso di progressiva uscita dall’ombra e dall’isolamento in cui una concomitanza di fattori ha giocato la sua parte. Uno tra tutti il turismo che, pur meritando un discorso a parte, di fatto ha spesso abbracciato e cucito insieme le tante facce della Puglia, costruendone una narrazione sempre più raffinata e particolareggiata. I grandi resort dell’area brindisina e barese, che hanno ridisegnato le vecchie geografie latifondiste votandole all’extralusso. Le aree naturalistiche del Gargano, che hanno saputo valorizzare il loro patrimonio in un’ottica di benessere e rispetto per l’ambiente. La zona tarantina, che negli ultimi anni ha portato avanti un corpo a corpo per emanciparsi dall’immagine legata all’inquinamento, aggiungendo al “pacchetto Puglia” itinerari incredibili, come l’ipnotica rievocazione dei riti della Pasqua, a Taranto. O quello sulle tracce dei delfini che ogni anno si spostano nel Mar Piccolo per riprodursi e accudire i nuovi nati. E infine il Salento, da terra amara a brand indiscusso e inclusivo, che ha la sua cassa di risonanza nella musica e nei suoi artisti. La scintilla venne dal “Fuecu!” dei Sud Sound System. Poi arrivarono Negramaro, Alessandra Amoroso, Emma e i BoomdaBash. Solo per citare i più noti. Un po’ quello che a Taranto da qualche anno stanno facendo – ma con un’urgenza e una consapevolezza più mirate - Michele Riondino e Diodato. I due sono ambasciatori di Taranto e della Puglia, direttori artistici con Roy Paci di una realtà come l’UnoMaggio che in pochi anni si è imposta non solo artisticamente. I festival musicali sono infatti l’altra Puglia, quella meno patinata, se vogliamo, ma che negli anni è riuscita a farsi sempre più spazio. Il rock del Medimex, dopo Bari anche a Foggia e Taranto, il Locus Festival a Locorotondo, il Sud Est Indipendente nel Salento. Il pop sembra insomma la strada per continuare quello che fino a una decina di anni fa aveva iniziato a fare il folk: la riscoperta della cultura tradizionale, attraversata dalle sofferenze sociali di un passato rurale sostanzialmente molto povero, è stata senza dubbio la prima parte di questo viaggio. Un fenomeno partito dalle aree più remote del Salento, che ha raggiunto il picco assoluto nel successo internazionale de La Notte della Taranta – da ormai 20 anni un enorme faro puntato sulla Puglia e sul Salento - e che già dopo qualche anno era diventato un modello per l’intero Mezzogiorno, sempre più legittimato a scavare nelle viscere del suo passato, anche in territori apparentemente meno legati al misticismo e al folclore locale, per attingere contenuti identitari e cultura. Molti aspetti della tradizione, d’altronde, non sono mai stati messi da parte e hanno continuato, nel tempo, a tessere i legami con il passato. L’agroalimentare, anche grazie a una ormai consolidata attenzione alle produzioni locali e ai prodotti tipici, è rimasto colonna portante dell’economia pugliese anche nei periodi meno glamour: erano gli inizi dell’800 quando Gioacchino Murat importò nel Barese le prime tecniche di spremitura meccanica delle olive, fondando una delle prime start up della storia locale e destinando la Puglia a cambiare in breve tempo i connotati anche nella sua parte più meridionale. In pochi anni al posto del bosco e della macchia vennero infatti piantate distese di ulivi anche tra Gallipoli, Nardò e il Basso Salento e quest’albero maestoso e resistente divenne il simbolo della Puglia bella e possibile. Un sogno di produttività, sostenibilità e natura che solo la diffusione della Xylella fastidiosa ha richiesto di ridimensionare bruscamente. Anche l’artigianato, con aree interamente dedicate come il distretto della ceramica a Grottaglie e a Cutrofiano, rappresenta un settore rimasto fedele alla linea, ma capace di arricchirsi, grazie alla circolazione più veloce del design, delle tecniche di produzione e di commercializzazione, trasformate anche dalla comunicazione, che ha reso i prodotti democraticamente “instagramabili” ed esportabili. Un esempio eclatante in tal senso sono le luminarie dell’area magliese: le istantanee della festa di Santa Domenica, a Scorrano, negli anni sono riuscite a conquistare mezzo mondo, anche in materia di design: i creativi di Diadora hanno addirittura ispirato ad esse una serie di sneakers.

Un discorso a sé lo merita certamente il manifatturiero: tessile e calzaturiero messi in ginocchio dalla globalizzazione di fine anni Novanta hanno “salvato” poche perle, selezionando le aziende più caparbie sulla base degli investimenti sul livello qualitativo elevatissimo. Oggi il sistema della moda in Puglia può contare su oltre 40mila addetti nel quadrilatero tra le province Bat, Bari, Taranto e Lecce. E non è un caso che mentre l’industria del lowcost e del pret-a-porter abbia scelto di delocalizzare le produzioni più ordinarie fuori dall’Italia, la grande sartoria e le principali maison della moda siano invece rimaste legate alla professionalità delle confezioni pugliesi.

La sfida è stata ovunque la stessa: non perdere il proprio Dna riuscendo a essere assolutamente contemporanei. E di esempi in questo non ne mancano: se si pensa che al di là della linea rossa tra il tarantismo di De Martino e il Pensiero meridiano di Franco Cassano esiste un romanzo che si sta scrivendo da ormai oltre un decennio e che ci porta nei viaggi interstellari di Jules Verne attorno alla terra: l’aerospazio, per cui la Puglia è considerata la Silicon Valley d’Italia.

La presenza di un distretto produttivo a così alto tasso tecnologico non deve stupire: in Puglia sono infatti presenti contemporaneamente aziende con prodotti diversificati che coprono l’intera filiera produttiva, dalla componentistica alla creazione dei software. E anche sulla produzione la filiera è in grado di concludersi grazie alla presenza di aziende con diverse linee di progettazione e produzione: ala fissa, ala rotante, propulsione e software aerospaziali, tecnologie all’avanguardia nell’utilizzo di materiali compositi in fibra di carbonio per i quali la regione è un’eccellenzamondiale. Dalla sua base nella cittadella della ricerca a Brindisi, opera la mente di tutto questo: il Distretto tecnologico aerospaziale, che attraverso le competenze dei suoi soci punta a raccordare i risultati del settore con un rafforzamento complessivo della competitività del sistema produttivo pugliese. Accanto ai progetti di ricerca, che puntano all’innovazione per lo sviluppo di tecnologie chiave, sono sempre più numerosi quelli di formazione che permettono la creazione di nuove figure professionali, puntando a chiudere la filiera anche dal punto di vista della professionalizzazione e dell’impiego. Un obiettivo non da poco per rendere sempre più stabile un settore così competitivo a livello internazionale. Quello di filiera d’altronde è stato il concetto su cui si è basata anche l’industria cinematografica pugliese, dove il comparto dell’audiovisivo gode di ottima salute. Un lavoro iniziato tra la fine degli anni Novanta e i primi 2000, quando a girare film in Puglia c’erano solo Alessandro Piva: memorabile il suo baresissimo La capa gira (1999) e nel Salento Edoardo Winspeare. Più tardi sarebbe arrivato Sergio Rubini. E poi la Fluid Video Crew con l'evocativo Italian Sud Est (2003). Un percorso che si è strutturato con la nascita dell’Apulia Film Commission e negli ultimi anni ha subìto un’ulteriore accelerazione.

I Cineporti, nati dall’intuizione di fornire personale e strutture di supporto alle troupe impegnate sui set pugliesi, scelti più che altro per la loro bellezza, non sono stati che l’inizio. Oggi il comparto è diventato una realtà di riferimento con un’ottima reputazione anche in Europa e in Cina. Ma c’è di più: l’investimento sulla formazione, grazie al Centro Sperimentale di Cinematografia a Lecce, al corso di laurea DAMS dell’Università del Salento, e alla diversificazione delle attività nei Cineporti a Bari, Foggia e Lecce hanno fatto il resto. E questo, insieme all’investimento ingente sulla rete dei festival di cinema pugliesi (unica in Italia per varietà e vastità, dal Bifest all’Offf, passando per il Cinema Europeo e quello del reale, fino a Vive le cinema), significa appunto “chiudere la filiera”.

Difficile ricoprire in un’unica volta le tante facce di questa regione affusolata e finale. Diversificata fino al paradosso dei suoi paesaggi e baciata dalla fortuna della biodiversità. La Puglia si è infatti riscoperta con un ricchissimo patrimonio naturale da tutelare, conservare, recuperare. Perché il territorio, quello su cui noi ci muoviamo, produciamo, viviamo, alla fine altro non è se non la terra ed il mare e non sono esclusivamente nostri. La Puglia ha più di 245.000 ettari di Aree naturali protette e un Osservatorio Regionale dedicato alla scoperta, lo studio e la conservazione della biodiversità. Orchidee del Gargano, della Murgia, del Salento ai piedi di querce, frassi, olmi e olivi, così belli da diventare monumento. Con il naso all’insù per gli aironi, i gufi, gheppi e falchi grillai, i fenicotteri della salina di torre Colimena. Nelle campagne e nella macchia le volpi, le donnole, i porcospini, sul Gargano i caprioli e poi il ritorno dei lupi. I coralli di Porto Cesareo, tartarughe marine, aragoste, polpi, cernie, ricci di mare, distese di posidonia piene di vitamarina. Come si fa a non volergli bene a un posto così?
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