Si è concluso con una condanna a un anno e mezzo, con pena sospesa e non menzione, il primo e unico processo celebrato davanti al Tribunale di Milano nel quale una giovane di 25 anni è finita imputata, con le accuse di atti persecutori e violenza privata aggravati, per essersi spacciata per «curatore» nell'ambito della cosiddetta "Blue Whale Challenge" e per aver costretto, attraverso i social, una minorenne di Palermo a infliggersi alcuni tagli sul corpo e ad inviarle le foto, come primo step di «50 prove di coraggio». Lo ha deciso il giudice monocratico della nona sezione penale Angela Martone, a seguito dell'inchiesta coordinata dal pm Cristian Barilli.
Lo stesso magistrato che in passato aveva chiesto l'archiviazione, invece, per una serie di altri fascicoli scaturiti dai molti esposti di genitori e insegnanti che temevano che i propri figli o alunni fossero caduti nella rete della "Balena Blu", un fenomeno emerso sui media e che aveva scatenato pure una sorta di «psicosi» qualche anno fa.
LA VICENDA - La ragazza, secondo la ricostruzione degli inquirenti e degli investigatori della Polizia Postale, tra il maggio e il giugno del 2017, con un complice di origini russe che aveva16 anni, avrebbe contattato la vittima mediante profili Instagram e Facebook come «curatorlady», sostenendo di essere uno dei «curatori» del gioco, indicandole e imponendole i gesti da compiere. «Se sei pronta a diventare una balena - recitava uno dei messaggi inviati all'adolescente siciliana - inciditi 'yes' sulla gamba, se non lo sei tagliati molte volte per autopunirti». Inoltre, la presunta «curatrice» avrebbe reiterato le «proprie minacce» e la propria «capacità intimidatoria» avvisando la 12enne di conoscere il suo «indirizzo IP di connessione», cioè il luogo da cui si connetteva e quindi di poterla raggiungere e «ucciderla qualora avesse interrotto la partecipazione alla "Blue Whale Challenge"». Oggi il giudice Martone ha inflitto una pena (sospesa) di un anno e 6 mesi con «non menzione» e riconoscendo le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti all'imputata difesa dal legale Isabella Cacciari.
Cos'è la Blue Whale: la sadica challenge di moda nel 2017
La Blue Whale è una sfida social che porta i partecipanti, per lo più giovanissimi, ad affrontare cinquanta prove estreme in cinquanta giorni, terminando con il suicidio. Nel 2017, quando questo gioco era all'apice della sua popolarità, sono emerse decine di segnalazioni di casi sospetti alla Polizia postale. Per entrare nella challenge si verrebbe ingaggiati tramite social network e ad orchestrare le operazioni c'è la figura del "curatore": una guida per i ragazzi che si approcciano al sadico gioco. Il primo giornale che ha riportato l'esistenza della challenge è stato Novaya Gazeta,in un'inchiesta pubblicata a maggio 2016, denunciando la presenza della "Blue Whale" nelle comunità virtuali su VK. A portare il fenomeno all'attenzione del pubblico italiano è stata la trasmissione televisiva "Le Iene" nel 2017 che ha raccolto le testimonianze di quattro mamme russe. Il servizio apriva collegando alla "Blue Whale" la morte di un giovane livornese, lanciatosi da un grattacielo.
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Le Challenge della morte oggi
Che fine ha fatto la Blue Whale? E' un fenomeno che ormai ha perso quasi tutta la popolarità di quattro anni fa ma le Challenge della morte continuano sfortunatamente ad esistere e ad essere diffuse sui social frequentati per lo più da minorenni. In particolare su TikTok dove si sono rapidamente diffuse sfide mortali come la "Skullbreaker challenge" che vede la vittima al centro e altri due ragazzi ai lati che lo sgambettano, Jonathan Galindo e l'Hanging challenge, che consiste in una "prova di resistenza" dove la vittima s'impicca con una cintura.
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