Roma, la scrittrice-insegnante Cecilia Lavatore: «Ragazzi sui social 7 ore al giorno, mi chiedono di aiutarli»

"Aspettano solo che suoni la campanella, molti di loro non sono mai stati a teatro"

Roma, la scrittrice-insegnante Cecilia Lavatore: «I ragazzi passano 7 ore sui social, mi chiedono aiuto»
Roma, la scrittrice-insegnante Cecilia Lavatore: «I ragazzi passano 7 ore sui social, mi chiedono aiuto»
di Cecilia Lavatore
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Venerdì 20 Gennaio 2023, 06:49

«Di Roma conosco solo Tor Bella Monaca e l'Eur, ma più che Roma vorrei conoscere il mondo». F., 14 anni, occhi luminosi e inquieti su un corpo esile, in classe è uno dei pochi a rivendicare ancora il diritto di sognare. Da settembre insegno in un Istituto alberghiero, il che fa di me un'insegnante di frontiera. Per non dire di trincea. Qui da noi abbiamo ragazzi che vivono in comunità, in case famiglia, in famiglie che li hanno dimenticati, ragazzi che hanno già precedenti penali, spesso cresciuti per strada. Arrivano alle scuole superiori con una licenza media che non ha quasi alcun valore: in molti non sanno né leggere, né scrivere, né far di conto, sono a malapena scolarizzati e in grado di stare seduti al banco per più di cinque minuti consecutivi. Hanno quasi tutti dei Bisogni educativi speciali.

Con loro il coacervo di certificazioni che caratterizza la burocrazia scolastica italiana diventa un'omogenea presa d'atto che in qualche modo bisogna aiutarli.

Che siano misure compensative o dispensative, basta che arrivino a fine giornata. Spesso mi rendo conto che non sono mai stati a teatro o al cinema o a un museo, non hanno mai visto il centro di Roma, passano giornate intere sui social o nella migliore delle ipotesi nei centri commerciali pieni di pubblicità di oggetti che non possono comprarsi. Ascoltano musica che manda loro per lo più messaggi di disimpegno, violenza, superficialità, crimine.

Mi raccontano di aver cominciato a provare sostanze fin da giovanissimi: una volta gli ho fatto vedere il video di una canzone dove passava l'immagine di una canna e poi di uno psicofarmaco. Volevo discutere di tutt'altro, come mi ero prefissata, invece mi sono ritrovata ad ascoltare le loro esperienze con stupefacenti e medicinali vari che non vedevano l'ora di farmi sapere per avere forse risposte, che io chiaramente non ho. Anche se ammetto che in qualche modo è stato bello. Alcuni mi raccontano che non riescono a vedere neanche film o serie TV, si annoiano.

La stima del tempo passato ogni giorno sulle app è di circa 6/7 ore, lo abbiamo controllato insieme nelle impostazioni un giorno in cui si erano particolarmente aperti. Venerdì scorso, dopo aver visto il film sui Queen, alcuni mi hanno rivelato di non aver mai sentito parlare di Aids.

Questa storia che fanno anche cucina, sala e ricevimento sembra talvolta un ripiego per nascondersi in una scuola più facile e aspettare che li assorba un mercato del lavoro generico verso il quale non percepisco nessun entusiasmo ma neanche polemica o critica. In tanti non sanno cosa faranno da grandi, non sono neanche sicuri che diventeranno grandi, gli basta sapere che suoni la prossima campanella per tornare sui loro schermi.

Alle volte, quando mi riempiono la cattedra di pensieri che gli ho chiesto di scrivere o quando mi fissano con aria di sfida aspettandosi che io sappia capirli, mi sento una responsabilità addosso di dimensioni importanti, che provo a sostenere con un po' di sano umorismo e con un certo grado di fatalità, della serie a me è toccato questo.

Costituisco di base, insieme ai miei colleghi, l'unico contatto con un mondo diverso da quello che li tiene in pugno e li riduce a ombre, fino a farli scomparire nei buchi neri del disavanzo sociale.

Per diversi anni ho insegnato alla crème de la crème della borghesia romana, in due delle scuole private più costose d'Italia. Poi ho vinto il concorso e ho avuto la chiamata alle armi. Le prime due settimane non riuscivo neanche a raccontare cosa fosse stare lì dentro. Pensavo di aver visto già molto nel centro di accoglienza dove anni fa facevo volontariato come insegnante di italiano ai minori migranti non accompagnati. Poi sono entrata nel professionale.

Non c'è grinta, non c'è volontà, non c'è determinazione. C'è una vita che gli passa sopra come un destino inesorabile che non è tanto quello di esistere, quanto di sopravvivere. La scuola italiana è anche questo e questo non solo per colpa della scuola italiana, noi insegnanti facciamo ciò che possiamo, di frequente con forte vocazione o comunque con ampie dosi di buon senso...

C., di origine cinese, nata in Italia, non ha la più pallida idea di come coniugare i verbi, dice di non averli mai incontrati in nove anni di istruzione, tuttavia riesce a usarli sul suo tema per le vacanze di Natale in cui racconta cosa ha imparato dal 2022 e scrive «ho imparato che ho bisogno degli altri».
Eppure i suoi altri sono amici virtuali che spera resteranno suoi amici per sempre e che spera di incontrare dal vivo un giorno. «Mi piace quando qualcuno si preoccupa per me». Io sono abbastanza preoccupata per lei, ma non so se dirglielo.

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