Virus, l'allerta: «I cambiamenti climatici possono scatenare altre pandemie»

Virus, l'allerta: «I cambiamenti climatici possono scatenare altre pandemie»
Virus, l'allerta: «I cambiamenti climatici possono scatenare altre pandemie»
di Enrico Chillè
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Lunedì 7 Settembre 2020, 20:21 - Ultimo aggiornamento: 13 Gennaio, 18:03

Se il 2019 era stato l'anno della sensibilizzazione sui cambiamenti climatici e dei 'Fridays for Future', il 2020 è stato l'anno della pandemia di coronavirus che sembra aver fatto dimenticare tutti i rischi globali dell'effetto dell'uomo sul pianeta. Eppure, il pericolo è concreto e strettamente correlato alla possibile diffusione di nuovi virus, come avvertono scienziati ed ecologisti.

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Finora, il rischio di un salto di specie dei virus viene considerato solamente in base al consumo di selvaggina senza alcun controllo sanitario o agli allevamenti intensivi. Gli ecologisti, però, sono molto più preoccupati da altri due fattori: i cambiamenti climatici e la distruzione degli ecosistemi. L'allerta si concentra infatti sullo scioglimento dei ghiacciai e, soprattutto, del permafrost, lo strato di ghiaccio perenne tipico delle zone più fredde del nostro pianeta, che in condizioni 'normali' si scioglie nei mesi più caldi per tornare allo stato solido in quelli più freddi. Come riporta anche 20minutos, l'ecologista francese Maxime Renaudin, fondatore e direttore di Tree-Nation, ha spiegato: «Il permafrost è ciò che ci dovrebbe preoccupare maggiormente, perché si sta sciogliendo più velocemente di quanto avesse previsto la scienza. Non possiamo calcolare con esattezza quanto tempo abbiamo ancora a disposizione, forse non l'abbiamo più. Stiamo giocando alla roulette russa».

La preoccupazione di Renaudin è purtroppo fondata. Lo scioglimento del permafrost da un lato potrebbe liberare quantità di metano tali da causare un effetto serra ancora più potente di quello causato dal CO2, ma non solo. Non è infatti da escludere che, congelati nel permafrost, possano essere presenti da diverse migliaia di anni dei virus di fronte ai quali l'essere umano non è in grado di fornire una risposta immunitaria. «Ormai sappiamo bene che i virus sono ultraresistenti, in biologia gli organismi più semplici sono quelli capaci di risvegliarsi dopo più tempo», spiega l'ecologista. Una tesi sostenuta anche da Luis Suarez, biologo e dirigente del WWF: «Negli strati più profondi del permafrost e dei ghiacciai possono esserci virus e batteri sia conosciuti, sia assolutamente ignoti. In un ghiacciaio in Cina sono stati individuati 33 virus, 28 dei quali assolutamente sconosciuti alla scienza».

Il rischio è concreto e vicino, come dimostrano già altri casi: nel 2016, un 12enne morì e altre venti persone furono ricoverate in ospedale dopo essere stati infettati dall'antrace nel Circolo Polare Artico. Nella stessa zona, colpita da un'ondata anomala di calore, lo scioglimento del ghiaccio aveva restituito i resti di una renna, uccisa 75 anni prima dal batterio Bacillus anthracis che aveva contaminato il suolo e l'acqua circostanti.
Altri fattori di rischio per la diffusione di malattie di origine animale sono la deforestazione e l'eccessiva antropizzazione di habitat naturali incontaminati. Una recente relazione del WWF (condotta da ricercatori italiani e spagnoli), infatti, ha stabilito che il 70% delle malattie degli ultimi 40 anni sono zoonosi, cioè trasmesse all'uomo da animali selvatici tramite virus che hanno fatto il salto di specie, proprio come accaduto nel caso del coronavirus e della malattia da esso causata, il Covid-19. «La minaccia maggiore per la salute della popolazione mondiale è proprio la zoonosi. Non è escluso che, in futuro, possa diffondersi un virus di origine animale ancora più devastante del coronavirus e di ebola messi insieme», si legge nel report.

Maxime Renaudin ha poi aggiunto: «Sembra fantascienza ma si tratta di un rischio sempre più concreto, perché l'uomo continua ad alterare sempre di più il pianeta. I virus conosciuti sono circa 5000, ma si stima che quelli realmente presenti in natura siano compresi tra uno e due milioni; modificare gli equilibri della natura non fa altro che incrementare la frequenza del salto di specie. Una volta che questo accade, diventa difficile, con la globalizzazione, contenerne la diffusione». Un'allerta, quella dell'ecologista francese ma residente a Barcellona, che diventa un monito: «Nel 2019, almeno tra i più giovani, si era destata una certa coscienza ambientalista, ma ora sembra tutto dimenticato. Serve un cambio di mentalità ai livelli più alti della società globle: se non si parla in termini monetari i problemi non vengono minimamente considerati, ma il prezzo del cambiamento climatico potrebbe essere cento volte maggiore del costo stimato degli investimenti mirati a risolverlo. Abbiamo già visto gli effetti del virus sulla nostra economia, in futuro potrebbe accadere anche di peggio.

La salute degli esseri umani è strettamente collegata con quella del pianeta e di tutte le altre specie animali che lo popolano. O ci occupiamo di quella salute, o la nostra subirà conseguenze peggiori».

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