Mascherine Ffp2 non a norma, occhio alla certificazione CE 2163: ecco perché

Mascherine Ffp2 non a norma, occhio alla certificazione CE 2163: ecco perché
Mascherine Ffp2 non a norma, occhio alla certificazione CE 2163: ecco perché
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Mercoledì 3 Marzo 2021, 17:12

Da diversi mesi a questa parte, le mascherine Ffp2 sono le più utilizzate per proteggersi dalla trasmissione del virus. Nonostante il prezzo più alto, il loro utilizzo sta lentamente soppiantando quello delle chirurgiche, grazie alla maggiore efficacia delle Ffp2 nei luoghi chiusi o affollati. Molte delle Ffp2 che utilizziamo, però, potrebbero non essere a norma: tutta colpa di una particolare certificazione europea che alimenta parecchi dubbi.

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Riconoscere una mascherina Ffp2 non a norma non è semplice. In molti casi basterebbe controllare la resistenza delle cordicelle o l'aderenza al viso, ma non basta. La prima mossa da adottare è controllare che sia esplicitamente indicata la conformità agli standard internazionali EN149:2001, N95 o KN95. C'è però un ulteriore problema, quello della certificazione con il marchio CE 2163.

Questa certificazione, infatti, viene rilasciata per conto dell'Unione Europea da un'azienda turca, con sede principale a Istanbul ed una secondaria in Cina, la Universal Certification (o Universalcert, particolarmente apprezzata per la rapidità rispetto alle aziende concorrenti). Le mascherine, così come i tamponi antigenici e i test sierologici, nell'emergenza pandemica godono di un canale privilegiato: l'autocertificazione europea non è soggetta ad alcun controllo. Chi produce mascherine e vuole venderle in Europa, deve rivolgersi ad un laboratorio europeo accreditato per la certificazione. Una volta rilasciata l'autorizzazione, l'Unione Europea non effettua controlli ulteriori sulla qualità dei prodotti. E sono proprio i prodotti certificati da Universal Certification, col marchio CE 2163, quelli più difettosi o contraffatti.

La situazione è ulteriormente complicata dall'abbondanza di dpi con quella certificazione venduti in tutta Europa.

Il caso è emerso dalla denuncia di una società altoatesina che si occupa di import-export tra Italia e Cina: «Dall'inizio della pandemia si sono moltiplicati i clienti che vogliono importare dpi dall'Asia, ma la maggior parte del materiale in commercio non corrisponde alle certificazioni. Abbiamo fatto eseguire diversi test su una ventina di modelli in commercio e i risultati sono allarmanti: la maggior parte delle mascherine non ha superato la prova del cloruro di sodio e dell'olio paraffina, e alcune non sono neanche in grado di contenere il respiro».

Il problema principale delle mascherine certificate CE 2163 è l'abbondante numero di modelli presenti in Europa, eccessivo per il controllo da parte di un unico ente che non ha neanche sede nel territorio Ue. L'azienda turca Universalcert ha spiegato che la società non svolge tutti i test sulle mascherine, con una buona parte delle analisi che vengono subappaltate ad altre società con laboratori in Cina. Il tutto avviene nel rispetto dell'articolo 26 del Regolamento europeo 425/2016 sui dpi, ma costituisce un grosso fattore di rischio: le certificazioni CE 2163 sono le più comuni in Europa e, anche per questo, le più contraffatte.

In pratica, a causa della situazione di emergenza, mancherebbe un controllo a monte da parte dell'Ue o dei singoli enti nazionali sulle certificazioni. E non mancano accuse reciproche: c'è anche chi collabora con Universalcert e sostiene che l'azienda turca sia stata attaccata da un'azienda produttrice cinese che si avvale della certificazione di un altro ente.

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