Il disagio dei ragazzi della periferia pugliese in un libro. «Avevo battuto la droga, sono stato condannato e ora sono depresso». Due racconti in anteprima

di Giuseppe ANDRIANI
Domenica 26 Marzo 2023, 14:55 - Ultimo aggiornamento: 14:56 | 3 Minuti di Lettura


«Ho pensato al suicidio Col lavoro ne sono uscito»

(Questo racconto è tratto dall'ebook Fare, Parlare, Crescere)

Era una mattina di febbraio del 2018 quando mi svegliai e trovai mia madre in lacrime con mia zia accanto. Mia madre piangendo mi rivolse la domanda "Cosa hai fatto?". Anche se con voce un po' incredula, io le risposi "Niente", anche perché non sapevo a cosa si riferisse. Mia zia intervenne dicendo "Ah! Non hai molestato mia figlia?". Venni subito accusato di questo torto: è vero, a quei tempi ero un ragazzo di sedici anni molto insicuro, ma mai mi sarei sognato di essere accusato di aver molestato una persona, soprattutto mia cugina. Lì per lì la mia reazione fu forse esagerata, urlai: «Ma state scherzando? Ma andate tutti a quel paese!!!» sbattendo la porta di camera mia (ovviamente era tutto un po' più esagerato, ma per una lettura più fluida eviterò di dire parolacce). La questione si chiuse lì: io rimasi a piangere per un paio di giorni, passando anche momenti così brutti da pensare al suicidio - cosa che se sto scrivendo questa storia, avrete capito che non è accaduta. Dopo un paio di mesi arriva una chiamata dai carabinieri: "Il signor G.C. è atteso in centrale per delle domande" dissero. Da lì fu semplice capire tutto: mia zia aveva sporto denuncia parlando di molestie che sarebbero partite sin da quando io avevo tredici anni, fino a pochi giorni prima dell'incontro tra lei, mia madre e me. Dopo vari incontri e colloqui diventai maggiorenne e la mia assistente sociale decise di inviarmi al Serd con una psicologa, che mi ha aiutato molto rendendomi più sicuro di me. Man mano passarono gli anni e si celebrò il primo processo: lei era in un'altra stanza e io con i giudici. Passarono altri mesi e mesi, e altri processi di aggiornamento. Venni richiamato e il mio avvocato mi consigliò di chiedere una messa alla prova pur di liberarmi di questo inferno che non meritavo. Così ammisi che alcuni dei fatti erano effettivamente successi: ma io avevo solo tredici anni, un bambino ingenuo appena affacciatosi alla pubertà! Dopo una lunga mezz'ora i giudici richiamarono me e l'avvocato e mi condannarono a diciotto mesi di messa alla prova - che sto tutt'ora svolgendo - con obbligo al lavoro. Questa parentesi della mia vita mi ha sfinito, è vero, ma devo dire che guardando il bicchiere mezzo pieno ho trovato un ambiente di lavoro dove i miei colleghi sono come dei fratelli, al Centro Chiccolino il responsabile e lo staff sono come una famiglia, ho trovato una ragazza che amo con tutto me stesso, che conosce tutta questa situazione ed è restata con me nonostante tutto quello che le ho raccontato. Per di più sto socializzando come non mai e di questa cosa sono felice! È vero, non vedo l'ora di finire ma, dopo tutto, anche le cose negative ti portano un po' felicità soprattutto se questo significa belle persone e buone relazioni. Voglio bene ad ognuna di loro. E questo è l'importante.

C.G.

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