Il virologo Andrea Crisanti, professore ordinario di Microbiologia all'Università di Padova, ha parlato oggi in un'intervista al quotidiano La Stampa e ha spiegato come ci sia, dopo l'ondata della pandemia di coronavirus di marzo e la seconda ondata attuale, il pericolo di una terza ondata. Tutto dipende, per Crisanti, dalla strategia di tracciamento e da un eventuale lockdown per salvare le feste di Natale, in queste ore in cui sta per arrivare il nuovo dpcm che dovrebbe diversificare le misure su base territoriale, dividendo le regioni italiane in tre fasce a seconda del rischio contagio.
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L'efficacia o meno della prudenza del governo dipende, secondo il microbiologo, da quale obiettivo abbia: «Arrivare entro pochi giorni a un lockdown per poi rimuovere le misure per Natale oppure di guadagnare tempo, rallentare il contagio, riorganizzare il sistema di tracciamento, fare il lockdown a gennaio e poi ripartire con un sistema rodato». Il lockdown, per Crisanti, ci sarebbe in entrambi i casi «però senza una strategia di tracciamento si rischia una terza ondata». Se il governo «ha un piano a riguardo bene, altrimenti sta solo perdendo tempo».
Riguardo le nuove misure Crisanti è d'accordo con la chiusura dopo le 18 di bar e ristoranti mentre «il coprifuoco alle 21 mi pare inutile già che è tutto chiuso e sembra solo demagogia. Ha senso invece limitare gli orari dei negozi e dei centri commerciali, così come i mezzi pubblici. Anche se mi domando: chi controlla che viaggino pieni al 50 per cento?».
Nel nuovo Dpcm, aggiunge Crisanti, «mi pare manchi un automatismo preciso per cui a una determinata regione vengano imposte le chiusure». Ci sarebbero «21 criteri per decidere se una regione appartenga alla zona verde, arancione o rossa. Mi sembrano tanti, ma immagino che quelli fondamentali riguardino il riempimento dei posti in ospedale. Non vorrei che un provvedimento simile inducesse le Regioni a non essere totalmente trasparenti riguardo a questi dati». Si tratta «di dati facilmente manipolabili e a livello regionale per qualche settimana si potrebbe decidere di ricoverare il meno possibile sulla pelle dei pazienti» spiega.