Covid, scoperto cosa provoca il danno polmonare: lo studio italo-inglese

Covid, scoperto cosa provoca il danno polmonare: lo studio italo-inglese
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Mercoledì 4 Novembre 2020, 14:05

Alcuni misteri del Covid-19 iniziano a essere rivelati. Un nuovo studio dei ricercatori del King's College London, dell'Università di Trieste e del Centro di Ingegneria Genetica e Biotecnologie (Icgeb) di Trieste, pubblicato oggi su "Lancet eBioMedicine", ha portato alla luce una possibile causa del danno polmonare causato dal virus Sars-Cov-2. Grazie ai risultati delle autopsie su diversi pazienti morti per il virus, sono emerse caratteristiche che contraddistinguono la polmonite da Covid e che potrebbero essere responsabili della difficoltà che molti dei pazienti guariti sperimentano nel ritorno alla normalità (la cosiddetta "sindrome del Covid lungo"). 

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Lo studio si avvale dell'esperienza dell'Istituto di anatomia patologica dell'Università di Trieste nell'eseguire l'autopsia dei pazienti che muoiono nel capoluogo, che non si è fermato nemmeno durante il lockdown. Il team di ricercatori ha analizzato i polmoni di 41 pazienti morti per Covid-19 da febbraio ad aprile 2020. I reperti autoptici hanno mostrato un danno polmonare molto esteso nella maggior parte dei casi, con diversi pazienti che mostravano una vera e propria sostituzione del tessuto respiratorio del polmone con un tessuto cicatriziale e fibroso. 

«Eseguo almeno 600 autopsie ogni anno da 25 anni, di cui più di 100 di pazienti deceduti per vari tipi di polmoniti, ma non ho mai visto finora un danno così esteso e con queste caratteristiche» ha affermato Rossana Bussani, docente di anatomia patologica dell'Università di Trieste, prima firmataria dello studio che ha eseguito gran parte delle analisi.

Due gli altri aspetti inattesi e specifici dei polmoni dei pazienti con Covid-19: il primo è rappresentato da una vasta presenza di trombi nelle grandi e piccole arterie e vene polmonari, trovati in quasi il 90% dei pazienti e causati dall'attivazione anomala del sistema della coagulazione nei polmoni.

Il secondo reperto è la stata la presenza di una serie di cellule anormali, molto grandi e con molti nuclei, infettate dal virus anche dopo 30-40 giorni dal ricovero in ospedale. Queste cellule derivano dalla capacità della proteina Spike del virus (quella che conferisce alle particelle virali la caratteristica forma a corona) di stimolare la fusione delle cellule infettate con le cellule vicine. 

«Siamo molto stimolati da queste osservazioni - afferma Mauro Giacca, docente di Cardiovascular Sciences al King's College di Londra, a capo della ricerca - perché la persistenza del virus per tempi molto lunghi dopo l'infezione e la presenza di queste cellule fuse, che in medicina chiamiamo sincizi, possono spiegare perché il virus causi tanta infiammazione e trombosi». 

Secondo Serena Zacchigna, docente di biologia molecolare dell'Università di Trieste e dell'Icgeb, «queste osservazioni indicano che Covid-19 non è soltanto una malattia causata dalla morte delle cellule infettate dal virus, come per altre polmoniti, ma anche dalla persistenza di queste cellule anormali infettate nei polmoni». La buona notizia è che è già iniziata nei laboratori del King's College a Londra diretti da Giacca la caccia a una nuova classe di farmaci, in grado di impedire la formazione di questi sincizi indotti dalla proteina Spike e quindi di stimolare l'eliminazione del virus e bloccare la trombosi.   

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