L'anno che verrà: il 2022 tra soldi, politica, affetti e la voglia di ripartire (oltre il Covid)

Mercoledì 29 Dicembre 2021, 07:33 - Ultimo aggiornamento: 09:13 | 4 Minuti di Lettura

Politica: riforma elettorale non più rinviabile

Sarà decisivo nel 2022 decidere sulla legge elettorale. Lo sarà anche se, speriamo di no, si decidesse di lasciare tutto com'è. Il modo di scegliere la rappresentanza della nazione è dirimente: deve far in modo sia di produrre un sistema di governo capace di decidere, sia di dare al paese la consapevolezza che tutto si è svolto salvaguardando la partecipazione a pari titolo dei cittadini alla costruzione del bene comune.
Le alternative che sono in campo sono due in termini generali (poi ci sono un mare di tecnicalità spicciole). La prima è scegliere un sistema che produca innanzitutto un governo, cioè che faccia uscire dalle urne un vincitore indiscutibile. I sistemi di tipo maggioritario sono i più brutali da questo punto di vista: una maggioranza viene prodotta per forza. Funziona se quella maggioranza non è sentita come una prevaricazione su chi non ne fa parte, se ad essa non è consentito di fare l'asso pigliatutto.

Il caso Giustizia/ La riforma incompleta da ultimare ad ogni costo

Altrimenti produce il prodromo di una guerra civile si spera a bassa intensità, dove chi perde delegittima chi vince, il quale a sua volta si ritiene in diritto di tiranneggiare su chi ha perso.
La seconda modalità è optare per un sistema di tipo proporzionale che punta a fotografare la distribuzione dei consensi, limitandosi a prendere in considerazione quelli che superano una certa soglia che li rende significativi. Non fornisce che molto raramente un vincitore, ma chiede che i consensi frammentati si uniscano poi fra loro fino a formare una maggioranza, che però non sarà una maggioranza legittimata dal voto, ma dal negoziato per obiettivi fra le parti politiche.
E' facile argomentare e contro argomentare in entrambi i casi. Senza perdersi in disquisizioni di teoria politica o lasciarsi andare a calcoli su chi abbia più convenienza in un sistema e chi in un altro, il tema di fondo del 2022 sarà se le forze politiche riusciranno a produrre una normativa che: a) eviti le forzature a coalizzarsi per mere ragioni di convenienza (roba che dura poco, l'abbiamo già sperimentato); b) aiuti i cittadini a scegliere responsabilmente una classe politica senza cadere nelle spire del populismo che li porta ad occasionali scelte di pancia.

di Paolo Pombeni

Economia: la crescita dipenderà dal fattore inflazione

L'inflazione. È questo il parametro che terrei sotto controllo nei primi due mesi dell'anno, per avere un'anticipazione di come potrebbe essere il 2022 dell'economia italiana. Se il 2021 è stato un anno nel quale gli astri si sono allineati favorevolmente, è l'inflazione il fattore che, al contrario, può riportarci in una tempesta perfetta.
Sono tre le ciambelle che ci hanno salvato: un Parlamento debole che si è ricompattato attorno all'unica personalità, il cui prestigio è sufficiente per ribaltare in credito, antichi pregiudizi nei confronti dell'Italia. Un Piano di Rilancio di 200 miliardi finanziato dall'Unione che ribalta la carenza di investimenti pubblici che dura da trent'anni, in un intervento capace di trasformare il Paese. Infine, la politica monetaria della Banca Centrale (BCE) che ha iniettato 1,600 miliardi di euro nell'economia europea come risposta all'emergenza pandemica e di ridurre a meno dello 0,5% gli interessi che l'Italia paga su nuove emissioni di un debito pubblico di 2.750 miliardi. La contemporaneità di tali circostanze crea le condizioni per un miracolo in grado di farci crescere di più riducendo, allo stesso tempo, il debito che ci zavorra.

Tuttavia, saranno già i primi mesi del prossimo anno a dirci se il Paese appena nominato la stella del 2021 dall'Economist potrà continuare a brillare. E, qui, arriva l'inflazione. Infatti, è lo statuto della Bce che definisce che l'obiettivo principale della banca è conservare il tasso d'inflazione sotto il 2% nell'area euro ed è il suo servizio studi a dire che stiamo sfondando questo tetto: a novembre siamo arrivati al 4,9% che è il livello più da quando l'euro e la Bce sono nate.
Parte dell'aumento è legato ai prodotti energetici e, tuttavia, anche l'inflazione core (che li esclude) è al 2,6% e ciò costringe la Bce a considerare una progressiva chiusura di un programma che scade a marzo. Ciò produrrebbe un aumento degli interessi e del costo del debito pubblico e potrebbe spingere Mario Draghi a non affrontare una sfida doppia politica ed economica ancora più incerta.

di Francesco Cirillo

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