Covid-19: Umbria, Basilicata e Molise verso contagi zero. L'epidemiologo: «Tra 5 e 16 maggio l'Italia ne uscirà»

Covid-19: Umbria, Basilicata e Molise verso contagi zero. L'epidemiologo: «Tra 5 e 16 maggio l'Italia ne uscirà»
di Maria Lombardi
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Martedì 14 Aprile 2020, 15:34 - Ultimo aggiornamento: 18:12

Umbria, Basilicata e Molise, le prime tre regioni italiane ad uscire dall'emergenza. «L'incidenza dei casi è prossima allo zero. Sia la Basilicata che il Molise sin dall'inizio hanno avuto un carico di malattia inferiore alle altre regione, sono state sempre agli ultimi posti per numero dei contagi e l'Umbria tra le ultime sei», spiega l'epidemiologo Giovanni Tripepi, dirigente di ricerca dell'istituto di fisiologia clinica del Cnr di Reggio Calabria.
Ieri in Molise si sono registrati zero nuovi casi, in Umbria uno e in Basilicata 4. «Questo andamento era previsto osservando il trend  dei nuovi casi giornalieri. Secondo il modello matematico del professor Franco Peracchi, in Basilicata e Umbria l'epidemia si sarebbe dovuta fermare il 7 aprile. Per il Molise non era prevista una data. Quando le stime vengono confermate vuol dire che sono stati rispettati i presupposti in base ai quali il modello è stato costruito: ossia le persone sono state brave a limitare i contatti e mantenere le distanze così da portare l'epidemia a spegnersi. Per il resto d'Italia si dovrà attendere maggio».

Come sta andando nel resto d'Italia? I contagi diminuiscono più lentamente di quanto ci si aspettava?
«Per quanto riguarda i nuovi casi di Covid 19 noi abbiamo avuto il picco in Italia il 21 marzo, con circa 6.600 contagi. Siamo nella fase discendente, ci stiamo avviando verso l'R0. Non è facile prevedere quando arriverà, secondo le stime del professor Peracchi raggiungeremo i contagi zero tra il 5 e il 16 maggio, a patto che continuiamo a rispettare tutte le prescrizioni. Le velocità con cui l'epidemia dovrebbe contrarsi è paragonabile alla velocità con cui si è diffusa. Ma nella valutazione dei dati oggi dobbiamo considerare che si stanno facendo molti più tamponi negli asintomatici. Fino a qualche settimana fa era il virus che veniva a cercare noi, negli ospedali e nei triage, adesso siamo noi che lo andiamo a cercare. Questo andamento altalenante che stiamo osservando può dipendere anche dal fatto che siamo eseguendo più tamponi. Prova ne è che gli accessi in terapia intensiva stanno scendendo in maniera importante come i ricoveri».

Si calcola che siano tantissimi i positivi asintomatici. Erano prevedibili questi numeri e rappresenteranno un grave rischio nella fase 2?
«Potrebbero essere quattro, cinque volte il numero che noi abbiamo censito. Data l'alta contagiosità della malattia era prevedibile che ci fossero così tanti asintomatici. Alla riapertura delle attività dovremo usare tutti mascherine e guanti».

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In maniera obbligatoria?
«Si, dovrebbe essere obbligatorio l'uso di mascherina e guanti.  Si deve tornare al lavoro protetti e prevedendo un distanziamento tra le persone. Ma si dovrà anche fare attenzione alla pulizia degli ambiente, a munire i bagni di detergenti adeguati, di amuchina se possibile. E soprattutto si dovranno controllare e ripulire i canali di ricambio dell'aria, non solo aria condizionata ma anche i circuiti di ricircolo. Rispettando queste regole si può iniziare a pensare alla cosiddetta fase 2».

Si può ripartire senza troppi rischi nelle date previste dal governo?
«Io direi che il governo, o meglio ancora il paese, sta facendo bene. Ci siamo trovati a gestire, primi in Europa e nel mondo dopo la Cina, questo tsunami. Non sapevamo quale effetto avrebbe avuto il blocco delle attività, non sapevamo quanto fossero veritieri i numeri in arrivo dalla Cina. Adesso, con un blocco raggiunto a tappe, siamo nella fase discendente. E abbiamo fatto in modo di non dover scegliere - almeno non è noto che sia accaduto - se mandare in terapia intensiva un anziano o un giovane».

Qual è stata per voi studiosi la sorpresa più grande nell'osservazione di questa malattia?
«Sicuramente l'alta mortalità in Lombardia e soprattutto nell'area di Bergamo e Brescia, nessuno di noi se lo aspettava. Dalla Cina ci arrivavano dati di letalità intorno al 2,3 per cento ed era quello che ci aspettavamo. Da noi i casi di letalità, ossia il rapporto tra numero di deceduti e numero dei sintomatici, è dell'ordine del 10, 12 per cento, molto più alto di quello osservato in Cina. Si ipotizza che questo dipenda dall'età della popolazione, ma secondo me ci sono altri fattori che dovremmo prendere in considerazione».

La letalità così alta nel nord Italia da che cosa può dipendere?
«Alcuni colleghi epidemiologi lo attribuiscono al maggiore inquinamento dell'aria che può sensibilizzare maggiormente le persone a contrarre le forse più severe di malattia. Ma sono solo ipotesi».


Come mai in Germania si registrano numeri così diversi e una percentuale di vittime più bassa?
«Il numero dei decessi in Germania è più basso. I nostri numeri sono paragonabili a quelli di Spagna e Francia. La differenza può dipendere dal fatto che tante morti per Covid non sono state censite o anche dal fatto, come sostengono molti studiosi tedeschi, che lì sono state fatte tracciature dei contatti dei positivi limitando così la diffusione e proteggendo le fasce più fragili. Ma si tratta di ipotesi».

La tracciabilità può avere un ruolo fondamentale nella ripartenza?
«Nella fase 2 è assolutamente necessario che ci siano dei presidi nei territori,  un team di lavoro che identifichi il focolaio e si attivi immediatamente per salvaguardare i familiari e si preoccupi di tracciare i contatti della persona per limitare la diffusione della malattia. I test seriologici sono un utile strumento per andare a misurare chi ha sviluppato gli anticorpi della malattia, ma siamo nella fase di sperimentazione».

Che estate ci aspetta?
«Non sarà un'estate semplice, dovremmo convivere con il virus. Dobbiamo continuare a fare attenzione ma il fatto di vivere in ambienti aperti ci consentirà di stare più tranquilli. Non penso che il virus abbia paura del caldo, ho qualche dubbio che possano essere le temperature a incidere o meno. Ma vivere all'aria aperta potrebbe giocare contro la diffusione della malattia. A mare comunque si potrà andare».

E il rischio dei ricontagi?
«Se riusciamo a stabilire un sistema di sorveglianza, avendo presidi sul territorio, sono dell'idea che non avremo i numeri che abbiamo avuto finora. Lo scenario che si è verificato non si verificherà più, in questo sono ottimista». 

Come cambierà il nostro stile di vita?
«Credo che dobbiamo cambiare tutti lo stile di vita, clienti ed esercenti. Non possiamo avere un poliziotto in ogni negozio, ristorante o bar dunque è importante che i siano titolari a fare rispettare le regole di distanziamento». 





 

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