Procreazione assistita, Greco (Villa Mafalda): «Biologia molecolare per interventi su misura»

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di Graziella Melina
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Giovedì 12 Maggio 2022, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 02:52

La pandemia non ha fatto passare la voglia di diventare genitori. Eppure, di bimbi ne sono nati di meno, anche per chi tenta la strada della tecnica di procreazione assistita. Secondo l'ultima relazione annuale al Parlamento sulla PCM, si stima che l'impatto sull'attività di Procreazione medicalmente assistita nel solo primo quadrimestre del 2020 abbia portato alla nascita di circa 1.500 bambini in meno rispetto al 2019. «Per due mesi , i centri della fecondazione sono stati bloccati dall'ordinanza regionale - ricorda Ermanno Greco, direttore del Centro di Medicina e Biologia della riproduzione Casa di cura Villa Mafalda di Roma -  Abbiamo avuto nel 2020 un calo di circa il 35 per cento delle procedure». A complicare la situazione, c'è poi il fatto che le donne decidano troppo tardi di diventare mamme. Secondo l'Istituto Superiore di Sanità l'età media è intorno ai 37 anni. Altro aspetto da non sottovalutare nella coppia è poi l'infertilità maschile. «Come è stato dimostrato da diversi lavori scientifici - rimarca Greco - per il maschio osserviamo un aumento esponenziale dell'infertilità anche a causa dell'inquinamento atmosferico. Quindi, le tecniche di fecondazione in vitro devono essere particolarmente attenti a questa problematica. Noi in particolare abbiamo la possibilità di selezionare gli spermatozoi da inserire poi all'interno delle cellule uova».

LA METODICA

Le probabilità di successo della Pma, dunque, dipende da numerosi fattori. Ma la scienza ha fatto ormai passi da gigante. «Il problema fondamentale è individuare l'embrione che ha capacità maggiore, e questo è possibile con la tecnica genetica di preimpianto che permette di riconoscere gli embrioni sani da impiantare poi all'interno dell'utero materno. In questo modo, le nostre percentuali di successo per trasferimento sono il doppio rispetto ad una metodica tradizionale», aggiunge il professore. Numerosi studi internazionali hanno infatti evidenziato che anche gli embrioni “bellissimi” dal punto di vista morfologico possono essere alterati geneticamente nel loro assetto cromosomico e quindi non riescono a impiantarsi, oppure non consentono la prosecuzione della gravidanza. Ma è fondamentale anche la ricettività dell'endometrio. «Una volta ottenuti embrioni sani - spiega - dobbiamo essere sicuri della qualità del “terreno” in cui andiamo ad impiantarli, ossia l'endometrio che è il tessuto che riveste l'utero». È stato evidenziato da diverse ricerche scientifiche che circa il 25% circa dei pazienti con fallimenti dell'impianto presenta un endometrio non recettivo. «L'impianto è determinato per il 70 per cento dalla salute genetica dell'embrione e per il 30 dalla capacità dell'endometrio di recepire l'embrione. Esistono test nuovi che sono in grado di capire se un tessuto è veramente recettivo oppure se all'interno di questo tessuto esistono delle cellule che possono fare da rigetto all'embrione. Si tratta di due metodiche molecolari che oggi, grazie alla biologia molecolare, consentono un approccio individualizzato per il paziente»

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